Così si esprime Antonia Pozzi: "Oh
le parole prigioniere/ che battono furiosamente/alle
porte dell'anima". La parola è un'esigenza
insopprimibile. Essa apre le porte dell'anima,
è viaggio di amore e conoscenza, di noi
e del nostro rapporto con noi stessi e con l'Altro.
Eppure la parola, fatto usuale e normale per
gli uomini, per la donna è conquista
relativamente recente. La donna da una parte
ha un rapporto privilegiato con la parola, quello
della chiacchiera, della narrazione, dell'affabulazione,
ma esso si esplica su un territorio ininfluente,
per così dire "nello spazio del
gineceo", mentre la parola autorevole ,quella
che dà accesso alla comunicazione forte
e alla decisionalità, le è preclusa.
La detentrice di parole che racchiudono una
forma di potere, le parole delle formule, dei
riti, è stata vista come pericolosa,
e la medichessa, la guaritrice, è diventata
spesso "la strega". Per quanto riguarda
la parola "forte" la donna è
stata per molto tempo confinata nello spazio
tra il silenzio dell'esclusione e il grido della
follia. O muta, o matta.
Le più fragili si sono piegate al silenzio.
Le più ribelli, le più scomode,
non catalogabili, hanno conosciuto la costrizione
del chiostro,dei collegi, dei manicomi. E nemmeno
in tempi tanto passati se i conventi "Magdalene"
di cui parla il film di Peter Mullan premiato
nel 2002 a Venezia, esistevano ancora negli
anni '60.
E tanto confermata e "logica" doveva
essere, nella mentalità di allora, questa
"normalità della pazzia femminile",
che proprio la dichiarazione di pazzia contraddistingue
due personaggi femminili importantissimi della
letteratura siciliana, la Beatrice del "Berretto
a sonagli" di Pirandello, e la Assunta
dell' "Onorevole" di Sciascia-entrambe
donne che hanno cercato l'autenticità
dando voce al disagio e scardinando l'ordine
esistente, entrambe donne che hanno dovuto "entrare"
nella pazzia perché quell'ordine fosse
ricostituito.
E se la parola è già conquista,
la scrittura, che "conferma" la parola
e le dà durata e memoria, è la
più forte e trasgressiva delle conquiste.
La scrittura ha una straordinaria valenza simbolica:
è il potere degli iniziati, dei sacerdoti,
degli scribi,è potere non solo di espressione
e comunicazione, ma di gestione dei "segni",
di interazione tra la mente e le cose, l'Io
e il mondo. Questo rapporto tra silenzio e parola,
tra silenzio e parola scritta, ha ricevuto forza
icastica e valore di simbolo nella Marianna
Ucria di Dacia Maraini.
La scrittura per la donna è identificazione,
conferma del Sé come individuo e come
genere.
Perciò ogni donna che matura una sua
consapevolezza e riesce a darvi forma, non parla
solo per sé, ma parla per tutte le donne,
anche per le escluse,le dimenticate, quelle
che finora non possono farlo. Come dice Anais
Nin: "Non è solo la donna Anais
che deve parlare, ma io devo parlare per molte
donne".
Il rapporto delle donne con la scrittura si
è sempre misurato con le consuete domande.
Esiste una specificità femminile nella
scrittura? Le donne scrivono in modo diverso
dagli uomini?Esiste sempre a prescindere dal
tema trattato un'ottica femminile?
Non sono domande semplici. Intanto non è
facile conquistare un linguaggio proprio quando
si è tanto taciuto. Esprime bene questo
senso di inadeguatezza Pirandello ne La ragione
degli altri, quando fa dire a Livia: "Non
sento come mia la mia voce
un tono che
mi sembri giusto. Ho troppo, troppo taciuto
".E
poi, certamente esiste l'ottica femminile, ma
qual è? Forse non lo sappiamo ancora,
non lo sappiamo interamente. Tanti sono i condizionamenti
che si sono insediati nella memoria storica
delle donne. Ce ne rendiamo conto leggendo i
saggi sulla donna,della De Beauvoir, della Greer
ed altre, ma anche il saggio dell'italiana Elena
Gianini Belotti "Dalla parte delle bambine",
un testo che negli anni '70 richiamò
l'attenzione sul pesante condizionamento operato
sulle bambine dalla scuola e dal contesto sociale
.
Sono convinta con Coleridge che "la mente
dell'artista è androgina". Tuttavia,
volendo trovare una specificità nella
scrittura femminile, potremmo richiamarci alla
definizione data da Marianne Moore per la poesia:
"uno spazio per l'autentico", e condividere
il pensiero di Paola Mastrocola che nell'introduzione
alla raccolta di poesie femminili "L'altro
sguardo", afferma: "La scrittura femminile,
più di quella maschile, è costruita
sulla ricerca della verità. Scrivere
è riflettere su se stesse, guardare a
costo di trovare il buio e l'orrore. E' questo
estremo coraggio dello sguardo".
Una caratteristica della donna che scrive è
stata il richiamo dell'estremo,il suo non mediare,
nell'arte come nella vita. Una volta presa coscienza,
la donna che agisce la sua ribellione non media,
vi si consegna senza riserve. Ed ecco da un
lato le scelte di avanguardia nei movimenti
letterari, le scelte estreme nella politica(Achmatova,
Barkova, Cvetaeva) ,nel privato (Lou Salomè,
Sibilla Aleramo
)
E a volte le scelte estreme implodono in se
stesse e la parola non riesce ad essere salvifica.
Molte, moltissime donne non si sono salvate
attraverso la parola. La lucidità razionale
e la visione magmatica e oscura sono entrambe
presenti con l'aspetto bifronte dell'ermafrodito:
Il vissuto, il contesto sociale,spesso contraddicono
l'esigenza interiore,il sogno. Tante donne che
hanno escluso il silenzio si sono trovate strette
nella trappola di inestinguibili conflitti.
L'identità conquistata a prezzo di tanta
scissione non è ancora libertà.
Domato il folle grido, per tante si è
aperto il folle volo. Sono le scrittrici, le
poetesse suicide:Cvetaeva, Sexton,Bishop, Campana,
Espanca, Plath, Pozzi, Storni, Rosselli
quelle il cui sguardo sull'abisso si è
incrociato con quello dell'abisso verso di loro.
Un'altra considerazione è sempre stata
collegata alla scrittura femminile:specialmente
in passato si è messo in dubbio il suo
effettivo interesse artistico, e spesso i critici
l'hanno considerata uno sfogo,un'effusione personale
senza agganci con quei valori universali che
si attribuiscono all'arte.
Discorso, questo, delicato e pericoloso, che
ha oscurato un ricco patrimonio di esperienze
letterarie in particolare tra '800 e '900, rendendo
poco visibile una presenza, quella femminile,
in realtà molto vitale. In questo periodo
molte donne hanno scritto libri anche non caratterizzati
da una specifica "presa di coscienza",ma
non meno interessanti di molti libri maschili-libri
che sono stati ignorati nelle storie letterarie
e nelle antologie, che sono "scomparsi",
liquidati dai "critici laureati" come
"senza valore". Eccessivo lirismo,
autobiografismo compiaciuto, sentimentalismo
sono i vocaboli più ricorrenti. Eppure
autrici come Carola Prosperi, Neera, Marchesa
Colombi, la Contessa Lara, per citarne alcune,
hanno scritto poesie e storie con rivolti psicologici
e sociali di estremo interesse. E interessanti
sono le opere delle rappresentanti del romanticismo
siciliano, la termitana Rosina Muzio Salvo e
le sorelle Stazzone-nomi sconosciuti ai più.
Perché? Perché le emozioni, il
"di dentro", la visceralità
di uno scrivere senza filtri e senza censurare
il sentimento, ne hanno determinato la svalutazione
immediata, non tanto sulla base di un'analisi
critica attenta, ma proprio sulla base della
visione del mondo, per criterii, dunque, di
pregiudizio sessista. I valori che hanno prevalso
sono stati quelli maschili, sono stati gli uomini
a decidere cosa avesse o no valore o significato
universale. Dice Virginia Woolf: "Il calcio
e lo sport sono importanti, la moda, i vestiti,
sono futili
Questo è un libro importante,
suppone il critico, perché tratta di
guerra; questo è un libro insignificante,
perché tratta dei sentimenti delle donne
in un salotto".
Infine, una considerazione sulla situazione
oggi. Oggi la donna che scrive non fa più
notizia né scandalo, anzi fa tendenza,
e moltissime sono le donne che pubblicano distinguendosi
anche nei più prestigiosi premi letterari.
Distanziato ormai il momento della rabbia, della
rivendicazione, essa può affrontare ogni
altro argomento, ogni tematica a cui regalare
la ricchezza ineguagliabile della propria visione,
della propria coloritura. Siamo ormai arrivate,
dopo tanti anni, con tutte le strade del pensiero
aperte, là dove gli uomini erano già
secoli fa. Potrebbe sembrare una situazione
ideale. Ma è veramente così?
Io non so se davvero le donne passeggiano libere
nei viali della scrittura. Non mi sembra che
ancora passeggino "veramente" libere
nei viali della vita. Riconoscere il proprio
bisogno interiore e seguirlo senza curarsi delle
convenienze e delle conseguenze, è trasgressione.
Poter seguire il proprio bisogno interiore senza
conseguenze negative per sé e per gli
altri, è libertà. E non credo
che questo,oggi,sia. Penso che dove c'è
conflitto non c'è vera, gioiosa libertà.
Credo che la parità tra i sessi non sia
raggiunta e che la donna sia ancora troppo spesso
"straniera". Scherzosamente sono solita
dire che non possiamo parlare di paritàfinché
i campioncini di detersivo per lavastoviglie
sono acclusi in omaggio con le riviste "femminili"
e non con quelle "maschili" o "unisex".
Ma facendo un discorso serio basta considerare
come la più specifica della funzioni
femminili, la maternità, sia tuttora
ignorata nella sua complessità e ambivalenza,
ingabbiata nei luoghi comuni di una serenità
semplicistica e patinata col risultato di lasciare
la donna sola e smarrita di fronte a un evento
che di fatto cambia e sconvolge la vita, innescando
drammi dovuti alla depressione, evidenziati
dai recenti fatti di cronaca.
Credo che l'uomo preferisca ancora una "geisha"
a una compagna e guardi ancora con diffidenza
alla donna intelligente e/o sessualmente libera.
E credo infine che nonostante si pubblichi molto,
non sempre gli scritti delle donne si stacchino
da un livello medio e banale.
In una società segnata da un'involuzione
culturale, dove si dà ormai per scontato
che non ci sia più una questione femminile,
una società che scambia la leggerezza
di cui parla Italo Calvino con la superficialità,
e la "rivelazione" con l'esternazione,
il rischio è che la parola femminile
si addomestichi e perda la sua forza dirompente,
che non incida più, non sia più
chiave d'accesso al disvelamento.
Eppure è proprio in una società
così,che è importante che la parola
sempre di più mantenga la sua forza e
la sua luce. E' importante che attraverso la
parola noi continuiamo a cercarci,per raggiungere
e amare interamente la nostra complessità
.
E' importante fare appello al nostro specifico
sentire femminile, ai nostri saperi, alla nostra
istintualità. Solo così,come dice
Clarissa Estes, nel suo libro "Donne che
corrono con i lupi", solo così "la
nostra anima verrà a visitarci",
portandoci in dono la visione non solo dell'altro
da noi, ma dell'altra in noi. Solo così
possiamo sperare di acquistare ali per domare
l'abisso. E ogni volta di più quel ponte
che Antonia Pozzi voleva costruire con la poesia,
il ponte "sottile e saldo e bianco/sulle
oscure voragini della terra", quel ponte
che fu troppo fragile per la giovane poetessa
morta suicida, diventerà più saldo
e forte, tanto da sostenerci, e forse non da
sole.
© Angela Diana Di Francesca
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