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SPECIALE SARDEGNA
Una panoramica sugli scrittori sardi


A cura di Marco Nardini


Parlare degli scrittori sardi impone innanzitutto di porre delle premesse imprescindibili. È importante iniziare a capire se si vuole dare uno sguardo panoramico a come si sta movendo in questo momento la letteratura sarda, o se si vuole affrontare il tema da un punto di vista storico. E la poesia non può certo essere trascurata, perché molti dei grandi poeti sardi sono poi diventati interessanti narratori, e le due discipline si sono sempre legate vicendevolmente. Molto forte, in Sardegna, è poi il campo della saggistica, dove la locomotiva che trascina tutto il resto è probabilmente il radicale attaccamento alle proprie origini, alla storia dell'isola, alla cultura nuragica, alle tradizioni e alle credenze popolari. Precisato questo, va fatta inoltre una distinzione netta, che è necessario prendere in considerazione, tra gli scritti in lingua italiana e quelli in lingua sarda. Tutto ciò, tenuto conto del fatto che l'editoria in Sardegna rappresenta quasi un mondo a sé stante, poiché ancora oggi è davvero difficile riuscire a superare il mare per distribuire le proprie opere lungo tutto lo stivale.
Io cercherò di dare un'idea di quella che è la scrittura sarda in questo momento, nel senso più lato possibile. Partendo da una rapida occhiata ai classici sempreverdi e affrontando esclusivamente i testi in italiano, questo semplicemente per causa delle mie limitate conoscenze linguistiche relative al sardo.
Quando si parla di scrittori sardi nell'immaginario comune il primo nome che salta in mente è quello di Grazia Deledda. Questo a ragione, perché la figura della Deledda, premio Nobel per la Letteratura nel 1926, è stata fondamentale per lo sviluppo della narrativa d'ambientazione sarda. Le novelle della scrittrice nuorese hanno catturato l'interesse del pubblico come mai nessuno scrittore sardo, prima di lei, era riuscito. E tuttora classici come Cenere e Canne al vento restano saldamente ancorati alle cime delle preferenze dei lettori. È lei il precursore della scrittura sarda che, certamente sostenuta da figure come Emilio Lussu e Antonio Gramsci, si è aperta, negli anni a seguire, al grande pubblico con i vari Gavino Ledda, Giuseppe Dessì, Salvatore Satta, Sergio Atzeni. Proprio verso quest'ultimo pare essersi catalizzata ultimamente la curiosità degli studiosi e dei critici letterari. Se in vita, specialmente nella terra d'origine, l'autore cagliaritano era stato preso in considerazione meno del dovuto, in seguito alla sua prematura morte nel 1995, anche grazie ad una serie di opere pubblicate postume (delle quali mi piace menzionare Il quinto passo è l'addio e Passavamo sulla terra leggeri, entrambi usciti da Il Maestrale, rispettivamente nel '96 e '97), gli scritti di Atzeni sono stati rivalutati e apprezzati adeguatamente. Oggi possiamo affermare che Sergio Atzeni si staglia fra gli scrittori italiani più interessanti apparsi nel panorama nazionale degli ultimi anni. La sua opera ripercorre tratti di storia e cultura sarda, vite semplici, intrecci di tradizioni e invenzioni di fantasia, raccontate in un italiano sapientemente contaminato di sardismi.
Accanto alla figura di Atzeni, si sviluppa quasi contemporaneamente quella di Salvatore Mannuzzu. Decano degli scrittori sardi, recentemente insignito della Laurea honoris causa in Lettere e Filosofia all'Università di Sassari, Mannuzzu ha esordito sotto pseudonimo nel lontano 1962 con il romanzo Un Dodge a fari spenti (ripubblicato da Ilisso nel 2003, con correzioni apportate dall'autore). Ma per leggere il primo libro che in copertina porta stampato il suo nome bisogna attendere fino al 1988, due anni dopo il debutto di Atzeni, con il romanzo Procedura, vincitore del premio Viareggio. Mannuzzu ha proseguito autorevolmente la carriera letteraria portando alla luce altri sei romanzi (l'ultimo dei quali è Le fate dell'inverno), una raccolta di racconti e una silloge poetica, tutti per Einaudi. Ha pubblicato anche un saggio sul tema della giustizia uscito da Il Mulino nel '98 e un racconto per ragazzi, Il famoso Natalino (Laterza, 1999).
Ma tra gli autori sardi contemporanei un posto di rilievo merita Marcello Fois, che può vantarsi di essere il più prolifico e il più venduto scrittore sardo vivente. I suoi romanzi gialli, a partire da Ferro recente, edito da Granata Press nel 1992 e ristampato da Einaudi nel 1999, hanno sempre ottenuto un notevole riscontro di vendite e un particolare interesse della critica. Con opere come Nulla (Il Maestrale, 1997), Sempre caro (Frassinelli, 1998), Meglio morti (Einaudi, 2000), Picta (Frassinelli, 2003), Dura madre (Einaudi, 2003), Sheol (Hobby&Work, 2001; poi Einaudi, 2004) vince numerosi premi come il Calvino, il Dessì e lo Scerbanenco, svetta ai primi posti delle classifiche di vendita e si afferma come uno degli scrittori che ha nutrito la nuova age d'or della narrativa gialla italiana.
Da Fois in poi, i nomi degli scrittori sardi che hanno esplorato i bancali delle librerie italiane si fanno più sporadici e sono legati, perlopiù, ad eventi come la vincita di prestigiosi premi nazionali o a collaborazioni di case editrici isolane (in particolar modo mi riferisco al Maestrale) con editori nazionali. Dovrò pertanto spostare il mio campo d'interesse dall'attività editoriale nazionale a quella regionale.
Attualmente l'autore isolano più venduto in terra madre è Giorgio Todde. Il suo ultimo romanzo L'occhiata letale (Frassinelli-Il Maestrale, 2004), un giallo ambientato in una piccola realtà sarda dell'Ottocento, è al vertice della classifica dei libri più venduti in Sardegna e si sta pian piano diffondendo anche fra i lettori della penisola.
Sempre sul piano della narrativa di genere, ottimi autori di romanzi gialli possono considerarsi Salvatore Niffoi, con quattro lavori pubblicati tutti da Il Maestrale, che fa della capacità di mischiare l'italiano col dialetto la sua arte e riempie i libri di espedienti narrativi spesso di difficile lettura ma certamente di straordinaria originalità, e Luciano Marrocu, maestro sardo del giallo storico, pubblicato sempre dal solito editore nuorese, Il Maestrale. Tra i giallisti si sta facendo strada anche un giovane cagliaritano, vincitore dell'edizione 2000 del premio Calvino, con I diavoli di Nuraiò (che Il Maestrale ha fatto stampare lo stesso anno): Flavio Soriga. Traghettato dal successo del primo romanzo, Soriga ha fatto presto a varcare il tratto d'acqua che separa la Sardegna dal continente, e nel 2002 ha fatto uscire per i tipi di Garzanti il suo secondo lavoro Neropioggia, ancora ambientato nel paesino immaginario di Nuraiò.
E dal premio Calvino arriva anche il romanzo d'esordio di Gianni Marilotti, La quattordicesima commensale. In un librone di oltre quattrocento pagine, che ha portato a casa l'edizione 2003 del prestigioso concorso, l'autore fa tuffare una studentessa barbaricina nella realtà torinese degli anni Settanta.
Di natura più drammatica, ma anche grottesca e attuale, è l'ultimo libro di Giulio Angioni, Assandira. Uscito nel 2004 da Sellerio, butta l'occhio su una società basata su tradizioni locali e regole canoniche e rigide, che viene assaltata dal turismo più spietato e snob, sollevando un polverone che porterà a un tragico epilogo.
Un trattamento particolare nel panorama letterario sardo meritano anche Nicola Lecca e Francesco Abate. Il primo, che da qualche anno vive a Londra, dove è membro degli Executive Officiers per la Royal Festival Hall, ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti per i suoi primi due romanzi. Nell'ultimo lavoro, Ho visto tutto (Marsilio, 2003), il protagonista viaggia alla ricerca del male, quel male di cui il mondo è pieno. Il secondo, giornalista e d.j., con i suoi due romanzi pubblicati da Il Maestrale, ci catapulta nella vita quotidiana, dove anche in storie che ci sembrano semplici e conosciute non possiamo dare mai nulla per scontato.
Ancora dai premi letterari arriva un'altra autrice cagliaritana, Giulia Clarkson. Giornalista e insegnante, la Clarkson ha esordito con il romanzo Le stagioni di Flora (Mediterranea, 2001), che ha vinto la III edizione del concorso "Le Collane di Med". Col suo secondo lavoro, La città d'acqua (Il Maestrale, 2003), fa l'en plain e trionfa nella sezione giovani del premio Grazia Deledda 2002.
Vincitore di numerosi premi e menzioni in ambito regionale, tra cui il premio Romangia per un romanzo scritto nel suo dialetto locale, è Gian Carlo Tusceri. Abile nel romanzare storie reali, e porto come esempio Le porte chiuse (Paolo Sorba, 2003) e Pascal, mon amie (Taphros, 2004), lentamente Tusceri si sta facendo strada nell'ambiente editoriale sardo, procurandosi sempre più lettori.
Alla luce di tutte queste prove lampanti della qualità delle opere che vengono fuori dai premi letterari, crescono i concorsi in una regione che forse, negli anni passati, ha sottovalutato troppo, e troppo spesso, le proprie potenzialità culturali. E così, da qualche anno a questa parte, vediamo nascere concorsi di poesia, di racconti, di romanzi editi e inediti, e le case editrici più scaltre sono pronte ad accalappiarsi gli autori più meritevoli. È ciò che è successo a Rossana Carcassi, che un paio di settimane fa ha partecipato e vinto, col romanzo inedito L'orafo, il premio Junturas di Orani (NU), e si è aggiudicata la pubblicazione del testo per conto del Maestrale. Da segnalare, nello stesso concorso, l'arrivo tra i finalisti anche di Mario Mereu, che già nel 2000 uscì con un suo racconto nell'antologia di giovani scrittori Parole di carta, edita da Marsilio.
Notevole il successo di vendita per altri tre scrittori che meritano di essere ricordati in questa sede. Gli esordienti Maria Grazia Dessanti, con Il mistero della Vulcan (Editorial Project, 2004) e Augusto Secchi, con I colori dell'assenza (Frilli, 2004), e l'ennesima conferma della scrittrice, poetessa e storica Grazia Maria Poddighe, con il romanzo storico L'ultimo inverno di Adelasia (Carlo Delfino, 2003).

Come ho anticipato nelle prime righe, la poesia sarda è spesso legata inscindibilmente alla narrativa. Abbiamo visto quanto autori come Salvatore Mannuzzu o Grazia Maria Poddighe, che hanno saputo ancorare il loro nome a quello della narrativa, abbiano tuttavia dato ottime prove anche in versi. Lo stesso accade, seppur ci viene da ricordarli prima come poeti che come scrittori, per autori come Alberto Masala (forse il più importante poeta sardo, in questo momento), Giuseppe Tirotto, Franco Fresi. Ma per affrontare in maniera più completa e critica la poesia sarda contemporanea, rimando a un'antologia curata da Raimondo Manelli, che si offre come vetrina per i poeti sardi del Novecento in lingua italiana: Frontespizi (Aipsa, 2001).
Per concludere, intendo salutare, da buon sardo, con un accenno al reparto storico della saggistica isolana. Maestro indiscutibile di tutti gli studiosi delle origini e della civiltà sarde, è senza dubbio Giovanni Lilliu. Classe 1914, fondatore e direttore della Scuola di specializzazione di Studi Sardi dell'Università di Cagliari, ordinario di Antichità Sarde e preside della Facoltà di Lettere e Filosofia presso il medesimo ateneo, nonché accademico dei Lincei e archeologo di fama internazionale, Lilliu ha dato alla luce un volume unico, una bibbia per gli studiosi della civiltà nuragica, che nell'anno in corso Il Maestrale ha ristampato in una nuova edizione di 960 pagine: La civiltà dei sardi.
Si pone in un'angolatura differente, ma sempre legata alla cultura nuragica, l'opera di Mauro Aresu, studioso, archeologo e "sensitivo". Con Uomoterra (Ago e Filo, 1995), giunto oggi alla terza edizione, con una rilegata a tiratura limitata, Mauro Aresu riesce a produrre quasi un caso letterario. Egli analizza la presenza, le costruzioni, le abitudini, gli stimoli dei sardi d'età nuragica, attraverso il loro rapporto con la terra, affermando che "la vita sociale dei nuragici contemplava il rispetto delle emanazioni magnetiche del sottosuolo". E con i due volumi successivi, Itinerando nella Gallura Antica vol. I e vol. II (Ago e Filo, del 1998 il primo e del 2000 il secondo), scritti con Francesco Nardini, riporta una guida dettagliata dei siti archeologici più importanti del Nord Sardegna, creando una sorta di itinerario archeologico-naturalistico.
Ben diversa è la natura, l'impostazione e i temi trattati nel saggio che da due anni a questa parte, cioè dal giorno della sua uscita, è saldamente tra i primi posti delle vendite dei libri sardi, e ha suscitato la curiosità veramente di tutti, dai più semplici lettori ai più grandi storici. Sto parlando de Le colonne d'Ercole (Nur Neon, 2002), il volume in cui l'autore sembra farci credere ciò che alle orecchie di tutti sembra solo una divertente e fantasiosa trovata commerciale, quella di identificare la Sardegna con Atlantide (o meglio, con l'isola di Atlante, come egli stesso la definisce), ma che attraverso una serie di accurate ricerche, citazioni e mappe antiche, apre una vera e propria inchiesta sulla protostoria sarda, e segna probabilmente l'esordio più importante in assoluto di questi ultimi anni, quello di Sergio Frau.

© Marco Nardini

 

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