GLI
AUDIOLIBRI DI PB
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Frammenti di vita. Vita solo a tratti
compresa. Vita subita. Aver vissuto quaranta
e e e una mattina sentirsi
completamente inesperti, come un fiume
che non avesse mai visto i suoi paesaggi
né sentito le sue proprie acque,
il proprio tepore e meno ancora l'allegria
innocente o equivoca (ma allegria!) dei
corpi che in esso si erano immersi. Clementina
Pereda, non sei nemmeno un fantasma, perché
i fantasmi una volta sono vissuti in questa
valle di lacrime in cui tu non hai pianto.
Dio ti salvi Clementina, sei piena di
grazia. Clementina non nata, tu, infinita
gestazione del niente, tu, invano puntualmente
sanguinante,
estranea ad angosce e paure e dolori,
tu, navigante di una nave senza scia,
tu, Clementina; rinchiusa nella tua immensa
casa. Eccoti vagare da una stanza all'altra,
di angolo in angolo, di ombra in ombra,
di silenzio in silenzio. Apri innumerevoli
cassetti desiderando una sorpresa che
non arriverà, conosci tutti i ritratti,
tutti i vestiti, tutti i ricordi di cui
hai stipato inutilmente un armadio dietro
l'altro.
Di nuovo tra le tue mani le foto del dottor
Pereda, tuo padre, Don Edmundo, bombetta,
bastone, sparato e polsini finti, per
sempre lì, di trenta infiniti anni,
solo scoloriti nel seppia che proteggi,
temendone la scomparsa. Temendo? No. Ne
collocò una al centro del tavolo
dal piano di marmo, togliendovi dei giocattoli,
e il ritratto rimase sotto i raggi del
sole che in perfetta diagonale penetravano
attraverso la finestra. Si sentì
felice, aveva decretato la morte dei trent'anni
di suo padre. Qualcosa, per volontà
sua, sarebbe successo.
Frammenti di vita. Non importa quaranta
e quanti anni, la libertà di scegliere
persiste, o nasce oggi? In questo
giorno particolare in cui tutto sembra
sconvolto da una luce nuova e più
intensa. Oggi che scopro fioriture insolite,
oggi? Aveva sete. Camminò fino
al corridoio, dove, con una lentezza da
malata, si accomodò sul sofà
di vimini e prese un bicchiere di karkadé
freddo tra le due mani, con un esagerato
sentimento di solennità (come se
lei fosse stata Efrén, mentre officiava),
e così, come se fosse sacrosanto,
ma, certamente, estranea all'idea che
lo fosse, bevve a piccoli sorsi, pochi,
che la nausearono. E l'eccesso di zucchero
nell'infuso non poteva che dipendere da
quella trascuratezza, o piuttosto dalla
negligenza, che ormai governava i suoi
atti.
All'improvviso la solitudine le divenne
insopportabile, corse al telefono e compose
ansiosamente il numero di Hermila. Prima
che se ne rendesse ben conto si erano
già salutate, reciprocamente aggiornate
su Efrén, ed erano passate a parlare
del tempo.
- Le camelie! -la sua voce risuonò
esageratamente alta, come impaurita.-
Non è possibile. Sta succedendo
oggi quello era naturale a marzo, o atteso
per novembre Non capisco, Hermila!
C'è qualcosa di strano nei fiori
- Sei stata a messa oggi? -chiese Hermila
con acredine.
- Come? -e per la mente di Clementina
passarono una ventina di giustificazioni
plausibili, ma, non si sa come, le dimenticò
e con sollievo incongruo aggiunse: - Ha
detto qualcosa il padre su questo ?
Ho sofferto tanta insonnia ieri notte
che oggi non mi sono svegliata in tempo.
Prima i gatti, perché la Duchessa
è in calore, e come diceva papà,
quando stanno così Sai che
io Ho preso delle pastiglie, due
per essere esatti perché una sola
non mi fa mai niente Che cosa?
- Stai parlando troppo in fretta, ecco
cosa! Ed è la terza volta che te
lo ripeto. Clementina, mi senti?
Non hai la febbre? Va bene, fatti
subito un tè, verrò a trovarti
tra un momento. Pedro sta per uscire e
può accompagnarmi a casa tua
E, Clementina, per favore, non uscire
in strada.
Curioso, pensò Clementina, passando
lo straccio della polvere sul piano. -
Curioso che abbia chiamato proprio lei
-e strofinò la vernice nera fino
a farla brillare dello stesso scintillio
degli occhi di un gatto.
Perché aver chiamato Hermila
non sembrava molto logico. Anzi, si poteva
dire che era (non volle dire la
parola) Contenta io! Sì
(si disse convinta) c'è
qualcosa di strano in tutto In ogni
angolo e in ogni finestra, e nei fiori.
Perché Hermila, fin da bambini,
ci ha sempre traditi. Hermila la precoce,
l'innocentina: gonna azzurra, camicetta
bianca, e quel suo dono speciale di ricordare
i nomi di persone grandi e informarsi
sulle malattie. Adottava atteggiamenti
materni con tutte quelle che avevano cinque
anni meno di lei, e che detestava. Con
il suo candore poté ingannare
Ma non uno solo. Li aveva abbindolati
tutti. Perfino Borrito. Naturalmente,
scelse Ferrón: ricco, adulto (ma
non molto vecchio). Abile, Hermila. E
traditrice. Mai aveva taciuto qualcosa
che le veniva confidato in segreto. Dio
mio, dimmi!, a chi avrà voluto
bene, Hermila? A chi? Perché nemmeno
a suo figlio ne ha voluto. Efrén
ha voluto bene a me perché lei
non lo amava. La strana Hermila, come
ci ha avvolti tutti in una rete e come
ha tessuto, molto finemente, il proprio
destino, risucchiandoci nella sua scia
e riservandosi il ruolo di giudice e di
testimone e di difensore (quando, per
malignità, è stata benevola).
Proprio strana! Perché mai le avrò
telefonato?
Il bicchiere di infuso era vuoto e la
sete non era diminuita. Adesso non provava
solo sete, bensì una specie di
arsura da avvelenamento; quel tipo di
sensazioni, legate a spaventi, a malattie,
che aveva patito così intensamente
e realmente e, allo stesso tempo, così
in solitudine, così segretamente.
Perché lei non voleva essere una
delle tante zitellone piene di acciacchi
immaginari. Un giorno sarebbe morta senza
aver fatto sceneggiate. Solo per se stessa.
Era l'unica soddisfazione che le rimaneva,
l'unica vera forza. Perché il resto
l'essere orfana non essere sposata
troppi se n'erano impicciati, troppi a
Xalapa. Ed era stufa. Sarebbe morta tranquilla,
protetta dalla pace di tre, quattro o
cinque giorni senza che lo sapesse nessuno.
Quando sfonderanno la porta non lo saprò
Forse era un po' egoista non avvisare
Borrito Dopotutto, lui era il più
vicino per età e con lui aveva
diviso i momenti migliori (anche se mai
il vero affetto), sì, i momenti
più luminosi, e, anche, molti di
quei momenti che si vivono solo in due,
da soli, un po' in penombra e quando si
sa di essere capite Ma non sto per
morire e non sono avvelenata. È
solo questo caldo. E (rifletté)
non era nemmeno il caldo, semplicemente
era sfinita da una grande e tirannica
debolezza Che non venga Hermila.
Dio mio, e chi la sopporta. Come se non
mi bastasse questa mattina che non finisce
mai
Certo, c'è sempre un lato positivo,
perché erano anni che non si sentiva
padrona di una lunga mattina. Succedeva
solo in gioventù, quando si aspettava
qualcosa di imminente e tre ore (o un
quarto d'ora) potevano essere decisive
ed eterne, una vita estranea e incompresa.
Così si sentiva quella mattina,
e non era giusto che (per imbecillità
propria) arrivasse Hermila a distruggere
tutto. Era necessario che se ne andasse
presto.
A ogni veleno il suo antidoto.
Lentamente, con la lentezza con cui aveva
fatto tutto quella mattina, compose il
numero di Pilar, doña Pilar Beteta.
Fu Zenaida a dire:
- Pronto
Una bella voce fresca che non assomigliava
a quella della madre. Clementina le fece
un complimento e Zenaida rispose con quella
risata come di cascata, la risata di Leandro
quando era bambino. Quel suono prezioso
che lei voleva udire ancora e ancora,
più spesso, e (in qualche luogo
di se stessa) custodirlo per sempre, come
se Leandro non dovesse morire mai
Così.
- Come mai così felice?
- Felice? -ripeté Zenaida-. No,
niente di tutto questo. Sto ridendo da
matti con Carlín. Adesso ce ne
andiamo al suo orto, a raccogliere jinicuiles
.
- Portamene qualcuno -supplicò
Clementina, già col sapore di velluto
bianco in bocca, con il ricordo di un'ombra
protettrice dopo una lunga corsa, con
la paura di un bruco peloso che improvvisamente
poteva caderle sulla camicetta, e con
l'allegria di tutti quei ricordi negli
occhi- È da anni che non ne mangio
prima con Bartolomé e Leandro
-ma non finì, a Zenaida sicuramente
non importava-. E la tua mamma?
- Mamma! Ti vuole Clementina!
Clementina immaginò i gridolini
di Pilar, la corsa tre volte interrotta
per qualche sciocchezza; come il rassettarsi
la gonna e la pettinatura prima di prendere
la cornetta e dire con la sua voce eternamente
dolce:
- Ciao, tesoro! Stavo proprio pensando
a te, non ti ho chiamata perché
Clementina non bevve un altro bicchiere
di karkadé, era troppo dolce e
lo vuotò nel gabinetto. Ogni volta
che buttava qualcosa nel bagno si ricordava
di una puerpera del dottor Pereda, che,
non rendendosi conto di quanto stava accadendo,
partorì precisamente lì.
Clementina non l'aveva visto, ma gliel'avevano
raccontato. Era entrata più tardi,
quando l'infermiera aveva già cosparso
la tazza di alcol e disinfettato tutto
col fuoco. "Quasi dava alle fiamme
il bambino ", disse lei e suo
padre rise rumorosamente. In generale,
i parti assistiti dal dottor Pereda non
erano un tema di conversazione tra loro
e si parlava ancora de' "il bambino
che ha portato la cicogna", quando
Clementina aveva già trent'anni
(o di più?) ben compiuti e inutili.
Anni inutili: no. Forse non era successo
molto, ma chiamarli inutili poi
Un giorno era venuto Bartolomé
(il timido Bartolomé di quindici
anni) a chiederle una ricetta perché
aveva con tanta paura! e lei, Clementina
Pereda, lo aveva curato Praticò
perfino la chirurgia la notte che Efrén
si tagliò il polso. Solo con i
bambini, perché le bambine
Beh, le bambine no, ma non ce ne fu bisogno,
e il dottore non le chiese mai perché
non aveva amiche (e forse non glielo chiese
perché era d'accordo con lei e
sapeva fin troppo bene che le bambine )
La lasciava uscire alle cinque della mattina
con il gruppo dei maschi. Ah, indimenticabili
le tante sere consumate nel progettare,
fino alla decisione che il venerdì
sarebbero usciti all'alba. Così,
pregustava quell'alba molte volte prima
di viverla, e viverla era ancora meglio.
Un cielo di migliaia di frammenti freddi
(gelati a volte) cadevano in faccia e
la fine della notte era la morte più
attesa e dolce. Una sciarpa le copriva
il petto e la bocca; quelle parole umide,
brevi e affettuose con cui si ricevevano
l'un l'altro nell'androne del dottor Pereda,
mentre esaminavano quello che ognuno aveva
portato per l'escursione. La partenza,
quel chiudere il portone con dolcezza
per non rompere il sonno del padre e,
all'improvviso, ad un passo da quei battenti,
la libertà. I passi e le risate
che risuonano in ogni parete vecchia e
addormentata e soprattutto in quei recessi
in cui, testarda, permane una notte agonizzante.
Dal cielo piove la mattina liquidando
stelle tenaci. Sì, una vita completa:
camminare per le conosciute strade di
ciottoli della città, e lì
(non si sa esattamente dove) comincia
la campagna. Molti uccelli cantano e volano
in quel momento. Poi, tenendosi tutti
per mano, cominciano a correre come matti;
tremano sonoramente i recipienti delle
limonate, i latrati dei cani li accompagnano
come voci amiche; quel momento così
freddo, quella freddezza che ha solo la
campagna appena sveglia, sarà ricordato
di notte nel soffice tepore del letto.
Così lei lo ricordò tante
volte. E quei giorni in cui dopo essere
tornati in città, alle quattro
o alle cinque del pomeriggio, restavano
tutti a casa sua. Veniva il dottore a
offrir loro un po' di vino jerez, e tutti
lo bevevano morti dal ridere ed eccitati
dalla trasgressione. Continuavano le chiacchiere,
ripetendo mille volte le peripezie del
giorno e rettificando ricordi e trasformandoli
in fantasie molto più vivide e
reali dei fatti. Arrivavano le sette;
sul tappeto del salotto, bevevano caffelatte
e scherzavano. Il dottore offriva un altro
jerez e loro capivano che era solo uno
scherzo e che, se qualcuno avesse accettato,
gli sarebbe toccato un tremendo rimprovero
e forse non sarebbero più usciti
con Clementina. Il primo che venivano
a prendere era Efrén e piangeva
sempre prima di andarsene. Una sera dimenticarono
Bartolomé e Clementina pensò
che avrebbero dormito insieme, ma il dottore
lo portò a dormire con sé.
Ricordi! Quanti ricordi! Bartolomé,
Leandro, Genaro, Efrén e
Fili. Ma Fili morì C'era
anche Eugenia, a volte, ma nessuno le
voleva bene. Eppure, si era sposata con
Genaro.
Quelle passeggiate. Si era nel millenovecento
quaranta più o meno. Poco dopo
che Leandro era rimasto orfano di padre
(di madre lo era già) Povera
Adela! Povera? Che strano che qualcuno
possa vivere pochi anni e, ciononostante
, vivere una vita completa (come quella
di sua sorella Adela); che strano che
si vivano migliaia di anni (lei: Clementina)
senza che la vita si chiuda in cerchio,
in forma perfetta. Come una rosa di pallini
da un fucile: dispersa con un sol colpo
in molte direzioni, ma, assurdamente,
senza fare centro. Come se la vita esigesse
un solo bersaglio, una sola mira, ma la
molteplicità di quelle direzioni
ne negasse inevitabilmente la congruenza.
Gli occhi di Clementina tornarono a cadere
sulla camelia. Fiorisce. Indiscutibilmente
fiorisce.
Il suono del campanello segnalò
l'aprirsi e il richiudersi del portone,
e lei rimase immobile ascoltando i passi,
la voce.
- Clementina ?
Lei, muta, cercò di non sentire
niente e non le fu difficile: un'ape brillante
e piccola (troppo giovane) si posò
sull'immacolato bocciolo della camelia,
e con orrida grazia avanzò, o nuotò
o scivolò sulla tersa superficie.
La realtà non si può rimandare.
Senza muoversi, rispose:
- Qui
- Clementina! Stai diventando sorda! Ho
strillato per tutta la casa. Questa tua
abitudine di non avere cameriere
e in questa casa. Ah, Clementina, un bel
giorno ti ammazzano e non se ne accorgerà
nessuno! O perlomeno, ti rapiscono -la
baciò-. Sei caldissima
-Sono stata tutta la mattina al sole.
Che strano che ci sia tanto sole! Vero?
-Strano? -chiese doña Pilar ad
un inesistente pubblico-. Perché?
Pilar si ricordò che per anni aveva
voluto essere un'attrice. Ma non più.
Il peggio era che nemmeno Zenaida lo sarebbe
stata, perché ormai perché
no! È così sciocca!
-Siamo in estate, è logico che
faccia caldo, molto caldo , oltretutto,
non fa nemmeno così caldo.
Un silenzio di tomba cadde loro addosso.
Un silenzio come di morte prematura, di
negazione delle loro vite; un annichilimento
del quale, con disperazione, solo potevano
essere testimoni.
Di nuovo suonò il campanello del
portone.
- Chi viene? -chiese Pilar, rassettandosi
la gonna.
- Hermila -rispose Clementina, prendendola
sottobraccio.
- Dopo che se ne sarà andata-mormorò
a voce bassa Pilar- devo parlarti; mi
ha chiamato un'amica Poi ti racconto.
A braccetto, avanzarono lungo il corridoio
fingendo un affetto reciproco che risultò
del tutto superfluo quando videro che
non era Hermila, ma quella ragazza con
i capelli corti corti. Quella, come si
chiamava Margarita.
- Di Rentería
- Sí, Rentería Conosco
tua suocera, e anche Luisito.
La casa improvvisamente si riempì
di rumore. Settantasette scampanellate:
sette orologi annunciavano le undici del
mattino, e in quella confusione nessuno
sentì entrare Hermila.
Hermila, vestita di grigio e con una collana
di perle che manca poco che si confonda
con il biancore lattiginoso del collo.
Una Hermila che avrebbe potuto avere vent'anni
di meno senza sforzo, se solo avesse sorriso.
Ma continuava ad essere dalla parte della
virtù: niente trucco, niente scollature,
niente colori squillanti, niente di allegro.
("Ma quel vestito non è un
po' scollato per lei ?"), si
chiese Clementina nel momento in cui vide
la nuova arrivata. Pochi secondi, solo
qualche secondo, e gli occhi delle due
si incontrarono.
Clemen rivide quel fulgore di molti anni
prima, di una notte di maggio, quando
coricate entrambe (non le riuscì
mai di ricordare perché era andata
a dormire con Hermila), lei (Clemen) disse
all'altra: "Mia sorella Adela si
sposa il mese prossimo con Leandro Montes".
"Che?" Hermila le si afferrò
alle braccia e la costrinse a sedersi
sul letto. "Ripetilo! Ripetilo mille
volte e giurami per la Santissima Vergine
che è vero." Clementina lo
giurò molte volte finché
la pressione delle dita di Hermila cedette.
Allora Clementina, spaventata, si mise
a piangere. Hermila cercò di calmarla
promettendole regali e nuove gite e assicurando
che sarebbero state più amiche
che mai, e, come invasata, disse: "Ti
voglio bene, non piangere, ti voglio tanto
bene." Cominciò a baciarla
, ad asciugarle le lacrime. Poi sotto
le lenzuola continuò con carezze
e consolazioni. Hermila era già
da allora devota della Vergine del Perpetuo
Soccorso. Teneva la candela accesa di
fronte alla sacra immagine sul baule.
Mezzo volto di Hermila era illuminato
da quella fiamma palpitante. E quel corpo
(non era più Hermila, era un corpo)
cadde sul suo e con gli occhi chiusi tornò
a mormorare : "Ti voglio bene."
Hermila dormiva già quando disse
: "Leandro Leandro." Clementina
non si mosse per molto tempo e, rigida,
osservò quegli strani cambiamenti
che sui capelli e sulla pelle di Hermila
disegnava la luce della candela. Quando
la respirazione di Hermila divenne regolare,
il corpo aveva perso la tensione, fu allora
che, molto lentamente, si spostò
verso il bordo del letto, turbata dalla
facilità con cui l'altra riusciva
a dormire. Erano quasi bambine tutte e
due. Hermila al massimo aveva tredici
anni. Dell'accaduto Clementina conservò
sempre l'orrore inaudito per la facilità
dell'amica a scivolare nel sonno. E anni
dopo, in altre circostanze, vide di nuovo
dormire Hermila di quel sonno profondo
e terribile.
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