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Era proprio lui.
Quello in fondo al vicolo era l’uomo che lo aveva derubato giorni addietro.
Berretto di lana, bomber rosso, pantaloni larghi avana con tasche laterali, corporatura robusta.
Ne era certo.
Cominciò a correre verso di lui, senza pensare.
Immediatamente il ladro scattò in fuga.
Forse perché era abituato o forse solo per un semplice meccanismo di azione e reazione.
Il fuggitivo dribblò una bancarella e sbattè violentemente al muro un uomo che stava leggendo il giornale.
Correre-correre-piede-gambe-oscillazione delle braccia-addome contratto-respira-respira-polmoni-fiatone-fatica.
Fermo lui davanti - fermo lui dietro.
Vicolo a sinistra e riprendere a correre-correre e lui dietro correre-correre.
“Non sembra uno della polizia”, pensò il fuggitivo, “mi avrebbe detto fermati-sei-in arresto-polizia! e tirato fuori la pistola”.
Lui era armato, non aveva motivo di scappare.
S’arrestò-e-si-voltò.
L’inseguitore-anche-lui-si-arrestò.
“Cazzo e adesso? Si, mi ha rubato tutto, ma ADESSO?”.
Il ladro fece qualche passo verso di lui.
Respiro affannoso lui.
Respiro affannoso l'altro.
Alternati.
Inspira-espira-inspira-espira-inspira-inspira-inspira-apnea.
Erano a circa cinquanta metri di distanza.
“Adesso ti faccio vedere io brutto bastardo, chiunque tu sia…”, pensò il ladro.
Scattò-di-nuovo-e-prese-a-correre-correre-correre.
Senza pensare che per seguire l’impulso si era cacciato nei guai, il derubato prese a scappare.
Piede-gamba-oscilla-braccia-oscilla-braccia-respira-respira-addome-contratto-polmoni-fiatone-fatica.
Questa volta non era sicuramente abitudine, ma un vero e proprio meccanismo di azione e reazione, stimolo-risposta.
Si fece largo a spintoni e gomitate tra la folla di curiosi che sulla strada principale si era arrestata ad osservare il primo inseguimento.
Una signora sui quarantacinque anni, ingioiellata, a terra-colle-calze-strappate-le gambe-larghe-sotto-la-gonna-niente-mutandine-la-fronte-insanguinata.
Il ladro era veloce, molto veloce e potente, i suoi quadricipiti pompavano azione sull’asfalto che restituiva energia cinetica all’ennesima potenza.
Cercò di evitare un assembramento di curiosi.
Per pochi centimetri il suo gomito destro urtò un palo della luce e la pistola dalla sua mano-cominciò-a-volare-volare-ma-moooolto-lentameeente-adesso.
Volava in aria girandosi su se stesso qull’oggetto nero, la sua parabola sembrava non finire mai.
Perfettamente lucida, nera, con certe angolazioni restituiva il riflesso del sole sulle vetrine dei negozi intorno, come dei flash intermittenti.
Stock-stock-deng!-stock, fece sull’asfalto per due volte per poi sbattere sullo sportello di una macchina e infine di nuovo asfalto.
Il ladro si fermò.
Il derubato sentì quel rumore nitido, chiaro, lo collegò subito ai passi che si erano interrotti dietro di lui.
Si-fermò-e-si-voltò.
La pistola era lì, equidistante, potente, onnipotente.
Si guardarono per la prima volta in faccia, gli occhi-il naso-la bocca.
L’espressione di tutti e due.
Ferocia, mista ad incredulità.
Paura, mista a rabbia, mista ad incredulità.
No, non era proprio il momento per fermarsi.
Con uno-due-tre gesti si chinò-raccolse-la-pistola-scattò di nuovo.
Il ladro ricominciò a scappare.
Lui dietro. Adrenalina furibonda.
Lo stava raggiungendo, si lo stava raggiungendo.
Quel meccanismo sarebbe continuato in eterno.
Pensò, pensò al senso di tutto ciò.
Non aveva senso.
Smise di correre.
Il ladro scomparse dalla sua vista.
Originale.
Federico sbadigliò.
Schiacciò il tasto di gomma del telecomando, l’impulso elettrico che ne scaturì inviò le onde elettromagnetiche verso l’apparecchio.
La molla fece a sua volta pressione dal basso verso l’alto facendo tornare il tasto nella posizione iniziale.
Il tubo catodico interruppe il flusso di onde elettromagnetiche.
Schermo buio con un minuscolo flash al centro.
Azione restituisce sempre reazione.
Stato di quiete.
©
Flavio Carbone
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