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L'angelo sbatacchiò le ampie ali facendole diventare piccole piccole. Poi dalla borsa estrasse una maglietta, se la infilò e uscì dal vicolo cieco; girò l'angolo dell'edificio ed entrò nella casa. Salì quattro pianerottoli - non amava gli ascensori - bussò alla porta numero 666. - Perdio, chi è? - gridò il diavolo. - Sono Gabriele. - E chi ti conosce! Smamma! - Sono stato mandato da Dio. Apri, maledizione. - Lasciami in pace, pennuto! L'angelo sospirò. Si guardò in giro, poi attraversò la porta. - Che tu lo voglia o no dovrai ascoltarmi - disse l'angelo. Il diavolo era sdraiato mollemente sui cuscini del divano e aveva i piedi dentro una bacinella d'acqua fumante. - Se non altro poteva venire Giovanna d'Arco, no? - Dio chiede che tu gli sbrighi un'ultima faccenda. - Ma se sono secoli che non fa altro. - Questa volta manterrà la sua parola. È l'ultimo tuo lavoro. - Stronzate! Adesso sparisci. Dovevo immaginarmelo che si trattava della solita solfa. E poi sono ammalato. Sono pieno di catarro - tirò su col naso, si schiarì la laringe e sputò nella bacinella - appena muovo la testa mi sembra di impazzire. - Senti - insistette l'angelo - hai mai sentito parlare della bomba atomica? - Che cazzo vuole ancora? - Una cosa facile. Devi farla brillare sopra Manhattan. - Qui ci abito io. Perché proprio Manhattan, dannazione. - Ha perso ai dadi. - Cristo, chi? - Dio. - Non ha mai saputo lanciarli i dadi! - Stai attento come parli. - Contro chi ci si è messo questa volta? - Contro il tuo capo, Lucifero. - Quel pappa molle. - Per favore non di fronte a me! - Lucifero, intendo. - Bene. - Però, Dio che perde ai dadi contro Lucifero... - Ormai è andata così. Non pensarci su. Devi fare saltare Manhattan. - Prendo ordini solo da Lucifero. Falla saltare tu Manhattan se ci tieni tanto. - Sai che noi angeli non possiamo fare cose del genere. - Cazzi vostri. - Vuoi che vada a riferirlo a Lucifero? - Mi hai capito bene. Prendo ordini solo da lui. - S'incazzerà. - E che s'incazzi. - Io ti ho avvertito. - Bene. Va al diavolo allora. Due settimane dopo un raggio di luce svegliò il diavolo. Durò solo qualche istante. Poi sentì una voce. - Svegliati! Il diavolo si stropicciò gli occhi. Una creatura di giovanile bellezza lo stava fissando. - Che mi venga un colpo! - Sono Lucifero. - Salve capo. - Dio ha perso ai dadi. Voglio che Manhattan salti per aria. - Sì, sì. - Posso contare su di te? - Ma certo capo. Adesso mi sento meglio. Appena fa giorno mi metto al lavoro. - Sono le due e un quarto del pomeriggio, pirla. - Va bene, va bene. Dammi solo un po' di tempo e sistemo la faccenda. Non capiva perché Lucifero volesse distruggere Manhattan. Aveva lavorato bene in questa città. E Lucifero ne era molto fiero; spesso se ne vantava con Dio. È impazzito, pensò. Balzò fuori dal letto, si vestì, prese l'ascensore. Uscì. Attraversò la strada e entrò in un Caffè. Ordinò cioccolata calda, succo d'arancio, uova, patate e pancetta. La cameriera gli portò la colazione. - Senti Susi - le disse il diavolo - siediti un po' con me, ti voglio parlare. - Cosa c'è Mike? - gli chiese Susi. - Credi in Dio, tu? - Ma che c'è Mike, stai poco bene? - No, no, è che ultimamente sono un po' depresso. - Non fai che dormire tutto il giorno. Proprio non riesco a capire come fai a campare. - Credi in Dio? Non so, a Lucifero, al diavolo, insomma credi che Dio giochi a dadi con Lucifero? - Sì. - Sì? - E cosa altro pensi che facciano? - continuò Susi. - Beh, potrebbero fare tante altre cose. - Per esempio? - Decidere di far saltare in aria Manhattan. - No questo non lo credo. - E perché? - Sono troppo occupati con i dadi, insomma Mike, che ti prende? - No, no, ascolta... - Scusami - lo interruppe Susi e si alzò infilandosi tra i tavolini; a Mike piaceva guardare Susi: gli piaceva il suo corpo e ancor di più gli piaceva come muoveva quel corpo. Era la creatura più bella di ogni altra creatura che avesse conosciuto. Per Susi, Mike aveva trascurato un po' il suo lavoro a Manhattan. Questo era vero. Ma la sua vita gli sembrava migliore. Era addirittura ringiovanito. Non si sentiva più un povero diavolo come prima. Erano anni che voleva ritornare nell'inferno e prendersi un po' di riposo. Ora, grazie a Susi, preferiva rimanerle vicino. Ogni sera Susi saliva da lui. Mike aveva anche iniziato a pulire l'appartamento. Susi arrivava sempre con qualcosa. Con due bistecche per esempio, e lui le cucinava. Apriva una bottiglia di vino rosso sul divano, poi andavano nella stanza da letto e facevano all'amore. Quella sera poi aveva anche intenzione di offrirle un anello. Lo aveva trovato dentro una borsetta scippata pochi giorni prima. Insomma, si sentiva in paradiso. Susi ritornò al tavolo. Si chinò in avanti e sorrise. - Sai che sei proprio matto. - Senti Susi. Se giocano ai dadi vuole dire anche che magari scommettono. - Cristo! - No, Dio e Lucifero. - E va bene. Certo qualche scommessa magari la fanno. - Beh, allora uno dei due vorrà riscuotere la vincita. - Beh, sì certo. - E allora? - E allora cosa? - Far saltare in aria Manhattan, per esempio. - Ecco che ci risiamo! Tu sei proprio impazzito. - Rispondimi Susi, allora? - Beh, immagino che uno di loro farebbe saltare Manhattan. - Lo vedi! - Ma Mike, sono cazzi loro. Che te ne frega. Non ti sarà apparso l'angelo Gabbiele, per Dio! - Sì. - Sì, cosa? - Gabriele è venuto a trovarmi due settimane fa. Poi, questo pomeriggio è venuto Lucifero in persona. - E cosa volevano. - Far saltare Manhattan. - Ma Miki! E tu, cosa intendi fare? - Non so... - Senti. Mangia le tue uova. Stanno diventando fredde. Questa sera salgo da te e vediamo cosa si può fare. Ti va? - Grazie Susi, sei un'amica. - Figurati. Mangia ora.
Si mise a mangiare le uova. Dio, Lucifero, il paradiso, l'inferno, la bomba atomica potevano ancora aspettare, pensò.
©
Alberto Veronese
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