Casa
Editrice Mursia
Pagine 160 - euro 14,30
Esce per i tipi di MURSIA il nuovo libro
di Gordiano Lupi, Cuba Magica - conversazioni
con un santéro.
Cuba Magica è un romanzo di viaggio,
una storia che si dipana tra i misteri della
santería cubana e del palo mayombe.
Armando il santero guida l'autore alla scoperta
del Monte e tra i misteri della possessione.
Tra le pagine di questo libro scoprirete
che i santi cubani possono essere terribili
e vendicativi, ma imparerete pure la mitologia
cubana con tutto quel corredo di storie
che sembrano fiabe per ragazzi e che i santeri
chiamano con rispetto patakís. Armando
fa conoscere all'autore il culto dei morti,
la setta segreta degli abakuás, il
malocchio, il potere delle erbe, la nganga,
la boúmba, la zarabanda. Spiega i
poteri delle pietre magiche e illustra i
vizi umani di buffe divinità che
si chiamano: Osain, Elegguá, Olofi,
Changó. Alla fine si scoprono anche
i poteri delle piante magiche come la ceiba
e la palma reale che vivono quasi sempre
in luoghi magici di una terra magica.
Capitolo Primo
Armando il santéro
Sono venuto a Cuba soltanto per lui
questa volta. Niente spiagge di Oriente.
Niente donne. Niente viaggi per le strade
dissestate dell'isola. Niente traduzioni
da fare. Niente di niente.
Mi sono messo in testa di capire qualcosa
di più della santería e magari
di scrivere un libro che parli di un argomento
così affascinante. Già perché
in Italia tutti scrivono di vudu e di Haiti,
ci girano film stupendi come Il serpente
e l'arcobaleno e a dire il vero anche cose
meno memorabili come le pellicole sugli
zombies... Ma di Cuba in pochi parlano.
E allora mi sono detto che si trattava di
andare al cuore del problema e scrivere
qualcosa di serio. Che poi serio, via non
esageriamo. Quando si parla di Cuba le cose
davvero sul serio non si devono mai prenderle.
Tutto è relativo per il cubano. Tutto
è mas o meno. Pure la religione.
Niente di escatologico, dunque. Niente punizioni
divine. La santería è proprio
il contrario di quello che per un cattolico
occidentale significa religione.
Prima di divagare dicevo che sono venuto
per lui questa volta. Per Armando, il santéro.
Un mulatto corpulento, chiacchierone e gran
bevitore di rum come la maggior parte dei
cubani. Lui è cugino di Alejandro,
il ragazzo cubano che traduco per un piccolo
editore italiano, e anche di mia moglie.
Di cognome fa Torreguitart per parte di
padre e Aguirre per parte di madre. I cubani
abbondano con i cognomi, tanto non costano
niente. Vive in una casa coloniale di Luyanó,
un quartiere di periferia fatto di strade
polverose e poco asfaltate, mura scalcinate
e gigantesche ceibas che si affacciano ai
lati della via. Lui sa tutto della santería.
Non fa altro. Non lavora. Vive con le offerte
della gente che viene a consulto. E farsi
divinare il futuro nelle conchiglie può
costare un quarto di pollo o una coppia
d'uova, secondo le possibilità del
cliente. Una messa spirituale può
valere anche una cena completa o una bottiglia
di rum di quello buono. Se poi c'è
di mezzo un turista è tutto diverso.
Allora le tariffe sono in dollari e aumentano
di brutto. Mi pare pure giusto.
Alejandro mi ha portato da Armando con il
vecchio sidecar. Ne avremo per tutta la
giornata. Sempre che a lui non venga a noia
prima. Si stancano presto questi cubani.
Non sono troppo abituati a lavorare.
"Vengo a prenderti stasera" mi
fa Alejandro prima di allontanarsi.
"Bene. Non prima delle cinque"
rispondo.
E salgo le scale con il taccuino stretto
in mano e la penna nel taschino. Niente
computer a Cuba. L'ho lasciato in Italia.
A Cuba si torna all'antico e gli appunti
si prendono con carta e matita.
Armando mi saluta cordiale. Sta facendo
il caffè, come abitudine.
"Ne vuoi una tazza?" mi chiede.
"Certo" rispondo.
Prima di cominciare qualsiasi cosa va preso
un caffè. Questa è una cosa
che accomuna italiani e cubani. Una delle
tante. Come l'amore per le donne, il romanticismo
e quel machismo così duro a morire
Armando si siede sul divano della sala.
Un sofà di colore verde, con le molle
rotte che cigola a ogni movimento del corpo.
Io sprofondo sulla poltrona poco distante
e osservo la casa. È proprio come
la ricordavo. Non è cambiata affatto.
Piccola e un po' sporca. Avrebbe bisogno
di una buona mano di calce sulle pareti
e di una donna che la tenesse in ordine.
Armando è scapolo. Dice che la sua
religione gli impedisce di sposarsi. Tutto
intorno pochi soprammobili, all'ingresso
l'immancabile altare per i santi con le
candele, il rum, i sigari, rami di palma
e fiori, bicchieri d'acqua e cibo. Poco
distante il fantoccio rosso e nero di Elegguá.
Comincia a parlare. Io lo ascolto con attenzione.
"Per capire a fondo la santería
bisogna entrare nel modo di vivere cubano.
Noi diciamo che de la prisa no se saca más
que el cansancio, quindi non devi aver fretta
di capire. Tante cose le spiega solo l'esperienza,
la pratica quotidiana. Ma tu sei fortunato
perché sei mezzo cubano e un po'
camajan. Vero?".
Sorride. Ci conosciamo da tempo con il vecchio
Armando. Lo so che come tutti i cubani mi
prende un po' in giro perché in fondo
in fondo mi considera uno yuma, uno straniero
che non riuscirà mai a capire la
sua isola e le sue tradizioni. Però
mi adula. Non lo dà a vedere. Mi
chiama camajan perché sa che agli
stranieri fa piacere essere chiamati così.
È un po' come se ti dicessero: "Non
sei cubano però non sei un fesso".
Una patente di cubanía adottiva,
in pratica.
Termina il suo caffè e va avanti.
"Tanto per cominciare dobbiamo distinguere
due aree importanti della santería:
la lucumí (di derivazione yoruba)
e la conga (bantú) e poi non ci dobbiamo
mai dimenticare che, se è vero che
Cuba è la più bianca delle
isole del Caribe, è altrettanto vero
che l'influenza africana sul modo di pensare
della popolazione bianca è enorme.
Nessuno può dire di conoscere Cuba
e il popolo cubano se non sa niente della
sua parte nera. Come non si conosce Cuba
se non si ha un'idea della lingua yoruba
e bantú che ancora si usa nelle messe
spirituali e nelle evocazioni".
"Fin qui niente di nuovo" dico
io.
Sono impaziente di arrivare al nocciolo
della questione. Alle cose per le quali
sono venuto ancora una volta nella terra
di Fidel Castro, in questo ultimo baluardo
comunista che mi sta tanto a cuore.
"Tu hai fretta. Troppa fretta. Sei
proprio un europeo. Correte e non vi fermate
mai. Te l'ho già detto che dalla
fretta si ricava solo stanchezza. E allora
ascoltami e non interrompere. Ti dirò
tutto quel che vuoi sapere".
"Non aspetto altro".
"Ma ogni cosa a suo tempo, però".
"Come sarebbe a dire?".
"Che sono stanco e devo bere qualcosa,
altrimenti non riesco a parlare. Qui all'angolo
c'è una caffetteria dove vendono
del rum. Vammi a prendere una bottiglia
e poi cominciamo".
Quando torno con la bottiglia stretta in
mano lui sta sfogliando le pagine ingiallite
di un vecchio libro. C'è una donna
nera in copertina e la rilegatura in brossura
è di colore verde.
"Qui c'è tutta la nostra dottrina
e molte cose sono proibite a chi non è
iniziato. Ti dirò le cose essenziali,
ma devi farne buon uso".
"Promesso".
"Allora parleremo de el monte".
"Cosa c'entra il monte con la santería?"
domando.
"El monte non è il monte"
mi zittisce Armando.
"Adesso ascolta e fai silenzio"
conclude.
Io mi verso un bicchiere di rum, un Mulata
cinque anni, l'unico che ho trovato in quel
cesso di caffetteria sotto casa di Armando.
Ne verso anche a lui e la storia comincia.
Tratto da: Cuba Magica di Gordiano
Lupi
per gentile concessione dell'autore
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