GLI
AUDIOLIBRI DI PB
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Un
lungomare illuminato dalla luce della
luna più che da fiochi lampioni
corrosi dal salmastro si affaccia prepotente
alla memoria.
Ricordo i passi delle nostre notti.
C'era anche Janet con me, da tempo aveva
fatto la mia scelta.
La mia mente viaggia indietro nel tempo
e accarezza ancora i sogni dell'infanzia.
Però si ferma sempre su quella
notte, quando tutto è cominciato.
E soffre. Non può fare altro.
Perché non è possibile
modificare ciò che è accaduto.
Vivian, la mia compagna di sempre, restò
ad attenderci nei pressi del 1830, il
cabaret proprio in fondo al Malecón,
dove la lunga direttrice del lungomare
forma una piccola baia. Io e Janet eravamo
entrate nel locale in compagnia di due
francesi, giovani e abbastanza carini.
Non sarebbe stato un grosso sacrificio
andarci a letto una volta tanto. Vivian
rimase in attesa di altre occasioni.
C'era il solito gruppo di ragazze insieme
a lei. Non potevamo dirci amiche, però
ci conoscevamo bene tra noi, anche se
i rapporti non erano buoni con tutte.
C'era sempre quella che faceva la sostenuta
o che si sentiva più bella delle
altre. Invidie e gelosie non mancavano,
specialmente verso chi lavorava di più
e aveva maggiori richieste. Bastava
poco per metterci una contro l'altra.
Un paio di scarpe più belle,
un vestito firmato, un anello vistoso
al dito. Però quando c'era bisogno
sapevamo essere unite e ci davamo una
mano. Tutte. Partendo dal Nacional ci
spingevamo sino al 1830, in un chiacchiericcio
intenso fatto di pettegolezzi. Sembravamo
una squadra, amiche in cerca d'avventure
per passare una serata diversa. Invece
le nostre serate erano tutte uguali.
Cominciavano sul Malecón o alla
Cattedrale e terminavano in un'habitacion
particular o in un grande albergo, tra
falsi sorrisi e promesse d'amore che
svanivano al risveglio.
Ricordo adesso un altro straniero che
si era fermato a parlare con Vivian.
Credo fosse un tedesco e scandiva le
parole aspre di quella lingua che non
riuscirò mai ad apprendere. La
nostra amica sarebbe finita di sicuro
a letto con lui. Era un individuo grande
e grosso, con i capelli d'un biondo
intenso tagliati molto corti. La cosa
che mi colpì maggiormente furono
le braccia, muscolose e forti. Pensai
che avrebbe potuto spezzare il collo
a un vitello se soltanto lo avesse voluto.
Non era bello ma non si poteva pretendere
troppo. Dollari sicuramente ne possedeva
ed era questo l'essenziale. Ricordo
che la salutai e le detti appuntamento
sulla scogliera dopo lo spettacolo.
Avremmo deciso insieme che fare con
i rispettivi compagni. Poi fuggimmo
via nella notte con le nostre conquiste,
dirette verso la salsa del 1830 e il
sapore del mare misto al sudore d'una
notte di luglio. Non fu male la serata
in compagnia dei due francesi, alti,
biondi, dalla pelle bianchissima e dai
modi carini. Sapevano anche ballare
e da buoni europei preferivano il merengue.
Il merengue si apprende facilmente e
il passo è sempre lo stesso,
con qualche vueltas magari, ma è
sempre quello.
Il difficile è muovere i fianchi,
la cintura, il sedere, la vita.
E per un europeo è dura.
Uno dei ragazzi mi disse che ero brava
e rimase incantato a lungo mentre mi
muovevo a passo di salsa. Non c'era
parte del mio corpo che restasse ferma
e le gocce di sudore vibravano e cadevano
dalla fronte sulla pelle abbronzata.
Uscimmo dal 1830 stringendoci forte
alle nostre conquiste. Dovevamo avvisare
Vivian che non saremmo rientrate. Di
sicuro lo aveva intuito ma l'accordo
era preciso. Dovevamo vederci sul Malecón
in direzione del Nacional, davanti alla
scogliera.
Sarebbe andata via con il tedesco, mi
dicevo. Non restava che salutarci.
Ridevamo, provando a pronunciare qualche
parola di francese. Quello di fingere
di voler apprendere la lingua dello
straniero è un rituale che fa
parte del copione di un incontro. Ogni
buona jinetera lo sa, persino le ragazzine
dilettanti che cercano solo un regalo
o qualche dollaro e s'illudono per una
promessa d'amore. Per noi professioniste
è un dovere e sappiamo recitare
bene la parte. Come se realmente ci
importasse qualcosa. Come se fossimo
veramente innamorate. Al turista piace,
lo fa sentire importante e cade meglio
nella rete. In realtà a noi basta
conoscere l'essenziale, il vocabolario
di base per fare il primo approccio,
poi le parole non servono. Di solito
non è fare conversazione quello
che ci chiedono.
I ragazzi provavano a sillabare qualche
frase in spagnolo con quella erre tipica
dei francesi che li rendeva davvero
buffi.
La nostra lingua è così
ricca di suoni con la erre e loro strascicavano
in modo divertente. Ridevamo di gusto
e questa volta sincere. Non capitava
spesso.
Fu davanti alla scogliera che smisi
improvvisamente di ridere.
La luna era alta nel cielo e le stelle
aiutavano le luci diffuse del Malecón
a illuminare la zona. Non c'era più
nessuno. Le ragazze erano tutte rientrate
o avevano trovato compagnia. Le discoteche
cominciavano a chiudere e gli stranieri
tornavano a casa.
Vivian non lo avrebbe fatto.
Fui la prima a vederla.
Poi la vide anche Janet.
Uno dei ragazzi vomitò sul parapetto
del lungomare.
L'altro cominciò a gridare.
Era Vivian, mio Dio. Era proprio Vivian.
La luna rifletteva nel mare antichi
ricordi e la pelle nera della nostra
amica brillava con il colore del suo
sangue.
Vivian era sulla scogliera immobile,
con le mani aperte a forma di croce
e le gambe rigide, fronte alle stelle,
a quelle stelle che tante volte le avevano
insegnato il cammino. Dal collo partiva
uno squarcio profondo. Un coltello,
forse. Un machete. Adesso ricordo con
precisione che la vidi così e
che non trovai neppure la forza di piangere
tanto ero terrorizzata.
Era divisa in due parti uguali, dalla
gola alla vulva.
Cani randagi affamati si cibavano delle
interiora.
Il sangue era una pozza che accoglieva
un corpo privo di vita. L'avevano uccisa,
scannata con odio e violenza.
Non ce la feci neppure ad avvicinarmi.
Strinsi le mani di Janet e l'abbracciai
forte. Lei piangeva, singhiozzava parole
che non comprendevo. Arrivarono altre
ragazze, non so da dove né come
avessero saputo. Forse le nostre grida
di terrore ne avevano attirato l'attenzione
oppure qualche passante aveva fatto
correre la voce. Intorno a me gente
che gridava e piangeva. Io non sapevo
che fare, che dire. Vivian era la mia
compagna, l'amica di queste notti d'avventura.
Rammento la polizia di Fidel, con quelle
uniformi logore e stinte, che cercava
di riportare la calma. Una sirena nella
notte spazzò via parole che correvano
incontro alla luna. Non andammo con
i francesi. Non era proprio il caso.
Loro almeno potevano scappare e non
pensarci più.
La storia non li riguardava. Si erano
trovati sulla scena d'un delitto ma
le loro vite correvano altrove. C'erano
sempre un aereo e un ritorno.
Per noi no. Per noi era diverso.
Dovevamo continuare a farci i conti
con questa vita.
Perché era l'unica vita possibile.
E Vivian non c'era più.
Qualcuno aveva portato via il suo sorriso
sugli scogli del Malecón, proprio
dove da bambina aveva giocato a tuffarsi
mentre il padre pescava.
Era solo una negretta dell'Avana Vecchia
che sfidava la vita per sopravvivere.
Non aveva fatto del male a nessuno.
E non l'avremmo più vista.
Di lei restava solo il ricordo d'un
corpo straziato, crocefisso a una vecchia
scogliera.
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