Ci siamo occupati a più riprese di Alberto
Cantoni, l'umorista di Pomponesco (1841-1904),
in particolare nel n.6 e nel n.12 di Progetto
Babele. In quest'ultima occasione, in particolare,
ci sarebbe piaciuto mettere una bella foto dell'autore
sulla rivista, ma questo non si è rivelato
così semplice. Su Internet non ci sono
foto di Alberto Cantoni, ed anche qualche ricerca
in biblioteca è risultata infruttuosa.
Fabiana Barilli, che ha scritto la sua tesi
di laurea su L'umorismo critico di Alberto Cantoni,
ci ha dato per certo che una foto dello scrittore
di Pomponesco si trova nell'edizione di Scarabocchi,
curata da Roberto Ronchini per la casa editrice
Sometti, Mantova, uscita nel 2000. Il numero
12 di Progetto Babele era però già
uscito, così abbiamo ripiegato su delle
foto di Pomponesco, bel paesino del mantovano,
che vanta un'imponente piazza, un teatro stile
liberty
e poco altro, e che vi consigliamo
se passate nella zona, meglio con un po' di
nebbia che fa più atmosfera, di visitare
brevemente (anche date le ridotte dimensioni
del paese).
Quel che ci ha un po' rincuorato, è che
non solo noi che siamo dei dilettanti abbiamo
difficoltà a trovare foto di Cantoni.
Anche Luigi Pirandello, nel preparare la prima
edizione dell'Illustrissimo per la Nuova Antologia,
aveva insistentemente chiesto un ritratto dello
scrittore al suo corrispondente, che poi era
il nipote (figlio della sorella) di Alberto
Cantoni, Angiolo Orvieto. Pirandello aveva fretta
per un motivo molto umano. Scrive infatti da
Nettuno l'8 aprile 1904: "Luigi Antonio
Villari da Roma mi scrive che il mio carissimo
Alberto Cantoni, tuo zio, è gravemente
malato. Ti prego di darmi qualche notizia al
più presto". Cantoni muore infatti
l'11 aprile 1904, eppure l'11 giugno Pirandello
era ancora a sollecitare: "e il ritratto
di Alberto Cantoni? E le notizie biografiche?".
Finalmente il 15 gennaio 1905, grazie all'intercessione
della madre di Angiolo, Pirandello comunica
di avere ricevuto "il ritratto di Alberto
Cantoni, chiuso in una splendida cornice".
Un uomo schivo, Cantoni, al punto da distruggere
tutto il suo epistolario e di raccomandare ad
amici e parenti, che fossero in possesso di
sue lettere, di fare altrettanto, ed apparentemente
disinteressato alla fama quanto lo può
ragionevolmente essere uno scrittore, che è
sempre per natura un po' orgoglioso delle sue
creature. Un'altra curiosità, che forse
vi renderà più simpatico, come
un ingenuo signore di altri tempi, quest'autore.
Cantoni aveva dato il nome di Azzone al protagonista
dell'Illustrissimo, ma Pirandello, da editore
saggio e pratico, non era contento della scelta,
come scrive nella stessa lettera del 15 gennaio
1905: "Avevo pensato anch'io, carissimo
Angiolo, di mutare in Galeazzo il nome di Azzone
nell'Illlustrissimo. Certo, se Alberto Cantoni
avesse pensato agli scipiti e sguajati scherzi
che si son fatti sul nome di Azzo e Azzone,
non avrebbe chiamato così il suo eroe.
Egli pensò soltanto che questo nome è
frequente nella nobiltà lombarda"
.
Un altro scrittore "dimenticato"
di cui ci siamo occupati in vari numeri (PB
n.4 e n.10 in particolare) è
Mario Puccini (Senigallia 1887 - Roma
1957). Come riportato nello Speciale Senigallia,
presente sul nostro sito, recentemente PB si
sta occupando di una possibile ristampa, in
collaborazione con la Fondazione Rosellini,
di un personalissimo volume di critica che Puccini
diede alle stampe, in Spagna nel 1927, "Da
D'Annunzio a Pirandello", in cui lo scrittore
marchigiano parla liberamente degli scrittori
del suo tempo, confessando la sua lontananza
di stile, ma specialmente di ideali, dal dannunzianesimo
imperante, cui solo parzialmente e fugacemente
poté accostarlo la comune esperienza
della Grande Guerra, ed ammettendo una certa
scontrosa ammirazione per Pirandello ed il suo
uso dell'umorismo in funzione drammaturgica,
uso che Puccini ricollega a pagine di scrittori
tedeschi, come Jean Paul Richter (1763-1825)
(si ricorderà al proposito che Pirandello
non era estraneo alla cultura tedesca, essendosi
tra l'altro laureato in lettere a Bonn), e ad
altre di umoristi italiani, tra cui, guarda
caso, Alberto Cantoni. Ed ecco un estratto in
anteprima di quel che Puccini scrive dello scrittore
mantovano nel 1927: "Alberto Cantoni è
scomparso non molti anni fa e, nonostante in
una recente commemorazione lo si sia ricordato
e celebrato, il pubblico lo ignora ancora e
nessun editore pensa a ristampare le sue opere.
In realtà, non era uno scrittore destinato
alla popolarità. Rinchiuso nel suo mondo
e geloso di esso, Alberto Cantoni pubblicava
certamente i suoi racconti e i suoi romanzi
su riviste ben note, come la "Nuova Antologia",
e tramite editori di ottima reputazione come
Barbera; ma questa rivista e quest'editore,
non erano allora, né sicuramente lo sono
neanche oggi, i più adeguati veicoli
verso la fama. Ed è per questo che Cantoni,
pur pubblicando romanzi e racconti - oppure
i libri che di solito il pubblico cerca - non
ebbe numerosi lettori, e si potrebbe persino
dire nessun lettore. Colpa dell'epoca, senz'altro,
poiché vent'anni fa non si cercavano
veramente né nel romanzo né in
teatro profondità e arte; ma anche errori
- se così si può dire - dello
scrittore che sceglieva temi scabrosi e ardui
e li sviluppava non secondo la moda di allora,
bensì con caratteri propri, originali
e curiosi. Se questo si può chiamare
errore, egli era insieme a Dossi e qualcun altro
un audace innovatore: per ciò che si
capisce, non era destinato alla grande fama,
visto che il suo stile concentrato e i caratteri
della sua arte erano troppo densi ed intensi,
troppo sottili e misurati. Scrittore facile
in apparenza, era a volte un artista abilissimo:
di quelli che si avvicinano alla materia con
circospezione, e una volta impadronitisi di
essa, la dominano con la riflessione, la regolano
con la coscienza, la spiegano e la descrivono
con l'equilibrio morale. La sua fantasia non
è mai volgare; e anche quando è
troppo agitata e sembra sboccata, egli la raffrena
con pazienza, ottenendo sempre degli effetti
discreti e signorili".
Da Cantoni a Puccini, la storia sembra sempre
la stessa: entrambi vivevano in provincia ed
entrambi non cercavano veramente la fama, lo
stesso Puccini diceva di se stesso, nel preambolo
di "Da D'Annunzio a Pirandello" che
"quando un romanzo mio (più per
il titolo che per il contenuto) ha attratto
attorno al mio nome un insolito rumore, e una
moltitudine di lettori, ho sentito qualcosa
come paura, e lungi dal proseguire su quella
strada, me ne sono ritratto tutto timoroso e
scontento". Già, perché lo
scrittore autentico non vuole soltanto avere
lettori, ma vorrebbe che i lettori capissero
realmente, in una vera comunione di pensiero,
quel che l'autore sta esprimendo. Certo, sono
considerazioni d'altri tempi, di sensibilità
ancora ottocentesca, ma noi di Progetto Babele
crediamo siano attuali ancor oggi per chi comincia
a scrivere, che sia per diletto o per mestiere,
ed anche questo, pensiamo, giustifica le nostre
"riscoperte".
© Carlo Santulli
csantulli@progettobabele.it
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