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Il
giallo ironico di Daniel Pennac
A cura di Alessandra Spagnolo
L'avventura
letteraria di Pennac come autore di gialli,
inizia per caso. Nato a Casablanca nel 1944,
conosce il mondo a causa dei continui spostamenti
del padre militare francese di carriera. In
seguito si stabilisce a Parigi, nel quartiere
multietnico di Belleville, dove insegna in un
liceo, occupandosi in particolare di ragazzi
difficili. Verso questo pubblico è orientato
il suo romanzo d'esordio "L'occhio del
lupo"(1984). Passerà a dedicarsi
al pubblico adulto solo nel 1985 con "Il
paradiso degli orchi" il primo romanzo
che ha per protagonista Benjamin Malaussène,
a cui seguirà la tetralogia che lo ha
reso famoso a livello mondiale formata da "La
fata carabina" "La prosivendola"
"Signor Malaussène" Ultime
notizie dalla famiglia" "La passione
secondo Thèrése" , scritta
tra il 1987 ed il 1999.
Dalla saga ha tratto anche un'opera teatrale,
intitolata "Signor Malussène",
portata in scena in Italia da Claudio Bisio,
con la regia di Giorgio Gallione.
Il genere giallo, che principalmente si basa
su un rapporto di deduzione logica, con trame
consequenziali, viene utilizzato dall'autore
come base per descrivere la realtà multietnica
del suo quartiere, dove convive un mondo fatto
da francesi, africani, mussulmani, ebrei che
ruota attorno alla tribù familiare di
Benjamin, che di professione fa il capro espiatorio.
Strutturate come un insieme di aneddoti apparentemente
slegate fra loro, le storie si dipanano in una
rete di immagini, caotiche come il ritmo della
vita che pulsa in una città. L'ironia
e la leggerezza condiscono il tutto, in quella
tradizione che parte da Rabelais, per il quale
tutto il mondo ha sede nell'intestino. Ed è
proprio dal basso, dal ventre del quartiere
che partono queste storie, nere e violente,
ma assurde e coinvolgenti. Il richiamo a Calvino,
quello delle "Lezioni americane",
si sente specie nella leggerezza con cui vengono
trattate le scene violente, o in alcuni passaggi
in cui l'assurdo assume la sua posizione logica,
mentre i giochi linguistici di Gadda, che l'autore
cita e conosce, tornano nelle esplosioni parlate
dei personaggi. Ne "La fata carabina"
la serie degli omicidi delle anziane finisce
con il legarsi alla storia di un architetto
di grido e a causarne la rovina senza che le
due vicende si compenetrino fra loro.
Una caratteristica tipica di questo autore è
il senso dell'immagine, della metafora.
Nel suo intervento alla conferenza che tenne
a Roma alla Sapienza nel 2000 egli dichiarò
che è il sistema economico a separare
gli uomini in gruppi, in razze, non l'ideologia.
Per questo nascono orrori come quelli a cui
abbiamo assistito nella ex Jugoslavia: persino
nelle periferie delle metropoli gli individui
tendono all'autoesclusione, alla ghettizzazione
della propria identità. L'imperativo
è non mescolarsi, ma calpestarsi fra
poveri. E' per questo che Belleville diventa
un luogo idilliaco, dove sopravvive la compassione
per l'altro, dove l'individuo diventa parte
di un tutto, sostegno di altri.
La professione di Benjamin altro non è
che il punto di vista dell'opposto, del rifiutato,
del povero Cristo, che finisce ovviamente e
puntualmente crocefisso. Il tutto attraverso
un esplosione continua di immagini, di linguaggio
argot, di grottesco che ricorda il fumetto.
Una cultura del gioco furbo ma candido che viene
direttamente dal mondo dei ragazzini di Belleville
che tanto ha amato e frequentato. (Alessandra
Spagnolo)
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