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Due urne in legno attendevano immote. Poggiate su due colonne in stile greco presso il luogo dell’incidente, aspettavano. Era una zona erbosa dove qualcuno aveva iniziato a piantare fiori, presto imitato dai suoi compagni. I lavori di costruzione della Cattedrale erano stati sospesi. Ovunque c’erano fiori, nastri colorati con nomi o soprannomi degli scomparsi, sbiadite foto di famiglia, foto dei vecchi tempi della Resi. In sottofondo i Megadeth continuavano il concerto bruscamente interrotto dall’arrivo del bulldozer, ‘A tout le mond’, in ogni possibile versione, suonava ininterrottamente dalla sera prima. Il Nero era stato categorico, aveva sempre espresso la volontà di averla come colonna sonora del proprio eventuale funerale; se ne erano ricordati.
Suor Regina salì su uno stretto pulpito eretto fra le colonne.
«Non c’è Inferno. Non c’è Paradiso. Ma la memoria sì, c’è. Non sarà facile tirare fuori bellezza e armonia da questo… disastro. Ma ce la faremo. I nostri cari amici saranno sempre con noi, parleranno nei nostri cuori quando li chiameremo a noi.»
Le Anne, col fazzoletto pronto, si asciugarono la non-prima lacrima.
Acquadicane aveva il viso seminascosto nella ampia manica del maglione bianco.
«Il loro ricordo ci rallegrerà e ci scalderà quando ne avremo nostalgia, per oggi il nostro dovere è essere felici. Felici di averli conosciuti, di avere condiviso con loro questi tempi straordinari.»
La Rossa sbuffò nel fazzoletto, le pizzicava la testa, con un gesto si liberò del velo bianco che le copriva i capelli.
«Qui, dove li abbiamo avuti con noi per l’ultima volta, li raffigureremo belli come li abbiamo conosciuti.»
Acquadicane non poté fare a meno di cedere a una risatina nervosa, ‘belli’ era l’ultimo degli aggettivi che avrebbe usato per i suoi vecchi amici.
Suor Regina si voltò verso le colonne: due biancovestiti portavano un baule di legno intarsiato con motivi a spirale e ricoperto di fiori, lo appoggiarono a terra davanti a lei. La suora prese un rotolo di carta legato da un nastro rosso, se lo premette alcuni istanti sulla fronte poi lo pose su un cuscino di seta bianco e adagiò il tutto nel baule. Dietro di lei si era formata una fila di persone, ciascuno reggeva un omaggio nelle mani protese.
Diossido fu il primo, depose un vecchio vinile dalla copertina lisa, stette un attimo in silenzio davanti alle urne e si allontanò con un’espressione indecifrabile.
Paolo aveva la chitarra di cui si impossessava il Pescatore ogni volta che gli capitava in casa, le corde spezzate che ancora penzolavano ne erano l’inevitabile conseguenza.
©
Dario Vergari
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