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Il vecchio della montagna
Capitolo 09
di Grazia Deledda
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Capitolo 09

Quando giunse all'ovile i padroni si disponevano alla partenza; Melchiorre spiava il suo arrivo, già incollerito per il ritardo.

«Potevi attendere ancora un po', volpicina. Non ti sei divertito abbastanza? Se l'avessi saputo!»

«Pare che nevichi», rispose Basilio sollevando in aria il volto. «Credevo che non scendeste. In casa di zia Bisaccia han fatto gazzarra tutta la notte, non mi hanno lasciato dormire, e sono stanco che quasi credevo di non poter arrivare. Scendete davvero, zio Pietro?»

«Poveretto!», disse ironico Melchiorre, aiutando il vecchio a montare sul cavallino. «E adesso se puoi addormentati, per riposare dagli stravizi della notte: poi faremo i conti.»

«Se scendete, mi pare non sia stasera che ritornerete qui, zio Pietro. Nevicherà, vedrete.»

«Lascia nevicare», disse zio Pietro in sella, mentre Melchiorre gli accomodava le staffe.

«Non metterò certo la mano per riparo! Buon viaggio.»

Melchiorre batté la mano aperta sulla groppa del cavallino, che tosto si mosse, e gli andò dietro attento. In breve sparvero tutti giù nel grigio sfondo del sentiero.

Basilio si tolse di spalla la tasca, e rimase ritto sull'apertura della capanna, fischiando con apparente indifferenza, fissando gli occhi in lontananza. Il cielo si abbassava sempre più, coprendo col suo vaporoso candore le cime delle montagne della costa; intorno all'ovile le roccie bagnate e il bosco cupo avevano un'immobilità e un profondo silenzio d'attesa: i belati dei primi capretti tremolavano con lamenti che sembravano un pianto umano infantile.

«Chissà che oggi venga!», diceva fra sé Basilio, pensando al bandito. «L'abbia lasciata o no, io lo odio; e lo dirò a zio Melchiorre, che anche con quello lì Paska ha fatto all'amore. Ma cosa può fargli il padrone? Cosa può fargli?», pensò un momento e sorrise con perfidia. «Lo so io cosa può fargli, lo so io!»

Più tardi cominciò a nevicare, fittamente, a falde lunghe e larghe che pareano petali di fior di mandorlo. Le montagne della costa sparvero tutte sotto la curva bianca dell'orizzonte; le roccie, i cespugli, il bosco, la capanna, l'elce della radura e le mandrie ricevevano in silenzio la neve continua, fitta, infinita; i belati dei capretti tremolavano ancor più lamentosi.

Basilio scese di corsa la china attraverso il fitto volteggiar della neve, e giunto ove le capre col vello coperto di nevischio si ostinavano a roder i cespugli, spinse su i pochi capretti, conducendoli al riparo di frasche costrutto presso le mandrie.

I capretti salirono saltellando, belando e improntando il leggero strato di neve con le loro zampette; e introdotti nel riparo si affacciarono tutti all'apertura, uno sul collo dell'altro, graziosi, bianchi e neri, coi grandi occhi languidi e dolci.

Basilio tornò nella capanna; il gatto dormiva, la lepre fissava sempre un punto lontano, il cane, fermo sull'apertura, abbaiava contro le falde di neve che l'aria gli sospingeva sul muso.

E la neve cadeva sempre, in linee leggermente oblique, eguali, incessanti, silenziose, su uno sfondo vaporoso e candido. Ora le falde eran lunghe e sottili, simili a petali di crisantemi e di margherite, a bioccoli di bambagia, a peluria delicatissima di candidi uccelli: e si ammucchiavano sulle roccie, sul terreno, sulle piante. Ogni foglia d'elce riceveva la neve come una piccola mano aperta verso il cielo, e si copriva, s'allargava, si marmorizzava, assumendo informi contorni che si fondevano coi contorni delle altre foglie: ogni fuscello s'ingrossava lentamente trasformandosi in una verga d'alabastro; e sui cespugli e sulle rupi si stendevano drappi di velluto candido, sull'edera irregolari filograne di madreperla, sul terreno strati di piume di cigno.

«Non sarà oggi che zio Pietro risalirà quassù», pensò Basilio; e vedendo la neve ingrossarsi si gettò sul capo il gabbano, prese la scure e tornò fuori. Radunò le capre bagnate, gialle e sporche sul candor della neve, e le sospinse entro le mandrie, le cui siepi parevano intagliate nel marmo; quindi se n'andò nel bosco e sali sugli elci ad assidare, cioè a tagliar rami con le cui fronde alimentar il gregge durante la nevicata.

Nel gran silenzio del luogo il picchiar della scure echeggiò sordamente; ed a quel suono fra d'acciaio e di legno, che ripercotevasi lontano come se molte accette devastassero il bosco, due carabinieri biondi e rosei, in tenuta di campagna, con le borse e le uose bagnate e le bocche dei fucili orlate di neve, mentre stavano per smarrirsi ripresero la giusta direzione verso l'ovile dei Carta. Da lontano Basilio vide le loro grosse mani paonazze, e sulle prime trasalì - da qualche ora mulinava in testa pensieri così foschi e inconfessabili! - ma poi indovinò lo scopo per cui venivano i due rosei giovanotti e il cuore gli batté forte. Era gioia, affanno, speranza, paura, ansia: tuttavia la scure continuò a picchiar dritta sul tronco scricchiolante, incidendolo d'una ferita giallognola.

I carabinieri si fermarono sotto l'elce e sollevarono il viso. Qualche scheggia cadde sulle loro teste.

«Buon giorno», disse allora Basilio, fermando la scure sul tronco e sollevandosi coi piedi fermati su due rami. «Chi cercano?»

«Chi sei tu?»

«Basilio Serra, servo di Melchiorre Carta.»

Si scambiarono un rapido sguardo.

«Scendi tosto. Dov'è il tuo ovile?...»

Egli saltò a terra; si caricò le fronde sulle spalle, si trascinò dietro i rami, spazzando con essi il nevischio del bosco; e attraverso il turbine di neve sempre più fitto condusse i due nella capanna.

Mentre si scaldavano e si asciugavano le vesti, essi fissarono ostinatamente gli occhi fuori dell'apertura, procurando di vedere senza esser veduti.

«Tu sta lì e non fiatare; fuori fa troppo freddo», dissero a Basilio.

Egli obbedì, silenzioso, con le gambe lunghe distese: la suola dei suoi scarponi fumava parata al fuoco. Per ingannare l'ansiosa attesa prese la lepre fra le gambe e cominciò a farle eseguire qualche giuoco. Il gatto spaventato avea cercato di scappare, ma impeditone dalla neve s'era nascosto fra le stuoie: il cane abbaiava ferocemente.

I carabinieri guardavano ogni tanto Basilio, senza degnarsi di rivolgergli oltre la parola: l'ora passava; a un tratto egli li vide tirarsi rapidamente indietro con uno slancio felino, appiattandosi uno per parte dell'apertura, nell'interno della capanna.

«È qui!», pensò, gettandosi indietro la lepre e carezzando il cane per farlo tacere.

Il figlio di zia Bisaccia veniva a grandi passi, un po' curvo, affondando i piedi bagnati nella neve già alta. Era stato a caccia, giù, nel versante sud-ovest della montagna; aveva scovato una cinghialessa che allattava i suoi e i piccini di un'altra cinghialessa ammazzata qualche giorno prima, e veniva con la lieta speranza di scaldarsi al fuoco amico e di giuocare a carte con Basilio.

Giunto presso la capanna si scosse la neve di dosso, la scostò coi piedi dall'apertura ed entrò.

«In nome della legge, ti arresto», disse il carabiniere di destra, afferrandolo per il braccio. Egli spalancò gli occhi, impallidì, fece un istintivo moto per fuggire; ma anche l'altro carabiniere gli fu sopra e gli strinse i polsi con qualche cosa di più gelato della neve: le manette.

«Mettetemi anche una corda!», disse allora beffardo, scuotendo le mani legate. «Giovanni Tolu, il famoso bandito che arrestate! Vi metteranno la medaglia!»

«Tira avanti!», disse uno dei carabinieri, battendogli sull'anca il calcio del fucile.

«Mi hai fatto tu la spia, vigliacco? Me la pagherai!», gridò il prigioniero, rivolto a Basilio.

«Tira avanti! Tira avanti!»

Lo spinsero fuori rudemente.

«Vi tirino i cani!», egli gridò; e procedette a salti, senza voltarsi, senza por mente alle proteste di Basilio.

Quando vide i tre uomini allontanarsi e sparire neri nel turbine della neve, Basilio tornò a sedersi per terra, parlando fra sé.

«Macché spia, macché spia! Peggio per lui ch'è venuto! Zio Melchiorre avrebbe fatto lo stesso; proprio come ho fatto io. Del resto, ben fatto! Ben fatto!»

E ricominciò a pensare a Paska con dolcezza ardente, mentre fuori i capretti belavano con un lamento di bimbi affamati.

Melchiorre, risalito solo, lo trovò che dormiva profondamente, con le mani abbandonate al suolo e i piedi parati al fuoco semispento. Lo scosse e lo svegliò brutalmente: una fiamma sinistra gli brillava negli occhi.

«Hai fatto la spia, oggi, volpe senza coda? Ti stai mettendo in una cattiva strada. Bada a te, ragazzo!»

«La spia! Macché spia, macché spia!», rispose Basilio; e raccontò come la cosa era andata, trovando modo di ripetere le storielle che i figli di zia Bisaccia e i loro compagni avevano commentato durante la cena di Natale.

«Adesso vostra cugina, Paska, adesso sarà contenta, quando saprà che lo hanno arrestato! Che ne dite, zio Melchiò?»

Melchiorre fremeva: ah, anche con quello? e a lui nessuno diceva niente! Non inveì oltre contro Basilio, ma stette vigile e diffidente.

Nevicò tutto il resto del giorno e lungo la notte: Melchiorre non dormiva, sussultando ed uscendo fuori ad ogni piccolo rumore, causato per lo più da qualche ramo che si schiantava sotto il peso della neve.

Egli pensava a zio Pietro, affidato alle cure poco affettuose di zia Bisaccia; e aveva paura che da un momento all'altro tornassero i carabinieri e lo arrestassero come favoreggiatore di banditi. E di quali banditi! Sogghignava con amarezza pensando al figlio di zia Bisaccia; avevano mangiato, bevuto e riso assieme; e forse l'amico di Paska rideva di lui, che lo accompagnava e lo proteggeva... Melchiorre conosceva qual vaso di iniquità e perfidia è il cuore umano! E nella notte nevosa, ascoltando il tonfo dei rami schiantati sentiva come dei colpi di martello frantumargli il cranio: e dentro le orecchie gli ribolliva il sangue al pensiero del rischio che oramai correva per aver dato ospitalità e riso e bevuto e mangiato le galline col suo rivale!

Con uno, dei suoi rivali! A Nuoro gli avevan raccontato che Paska aveva relazioni intime anche col suo padrone, quel viso di morte dalla voce nasale. Anche di questo ella era capace: e così si spiegava la sua boria e il suo potere.

«Essa ha fatto la malìa anche al suo padrone per indurlo ad aiutarla nelle sue vendette. Forse l'arresto del mio amico è opera sua, se è vero che è stato lui ad abbandonarla. Ed io, che ho fatto qualche cosa di più, devo temere e aspettarmi qualche cosa di più.»

Dopo aver dormito e russato tutta la notte, Basilio si svegliò all'alba. Melchiorre vegliava ancora, pallido e stanco; prese il fucile carico, e disse al mandriano:

«Adesso m'addormento con questo qui accanto. Bada bene, se mi succede qualche cosa sparo su te come su una volpe».

«Fate quel che volete. Io esco per spazzar la neve dalla mandria.»

Melchiorre si coricò con la canna del fucile stretta nella mano. Basilio uscì fuori. Era l'alba: la neve aveva cessato di cadere, ma il cielo restava bianco e uniforme e l'orizzonte era chiuso da densi vapori.

Sotto la luce triste dell'alba il bosco sembrava una misteriosa accolta di fantasmi.

Basilio entrò nella mandria; ove il tepore delle capre aveva convertito la neve in fango, e curvo, spingendo con le anche le povere bestie quasi assiderate, tentò di pulire alla meglio il recinto. I capretti ricominciavano a belare, spingendo il musetto fra le siepi del riparo; anche le capre belavano lamentandosi. Curvo, spazzando il suolo con una scopa di ginestra secca, che non faceva che tracciare un'infinità di graffiti sul fango, Basilio spingeva sempre coi fianchi le bestie, parlando loro ad alta voce, imprecando e seguendo il filo dei suoi pensieri.

«E se venissero i carabinieri e l'arrestassero, che colpa ne avrei io? Non potrei andarmene ad assidare, e così non aver tempo d'avvertirlo, se mai venissero? Ma... e poi?... Non mi torna conto. Forse non trovando subito altro padrone, dovrei tornarmene al mio paese. E allora? E lei

Si sollevò col volto sorridente.

«Adesso che il padrone ha paura, non scenderà più a Nuoro. Manderà me. E potrò vederla ogni giorno.» I suoi occhi splendevano di gioia: gli sembrava di veder tutta la montagna fiorita sotto il sole di primavera. Egli avrebbe potuto veder Paska ogni giorno! Il bandito avesse o no dei torti, era prigioniero; Melchiorre, pensasse o no alla cugina, aveva paura! Egli dunque avrebbe potuto vedere Paska ogni giorno, senza timori né preoccupazioni: come era felice!

Lo fu per tutto quel giorno e nei seguenti.

Nutrite di fronde che i pastori andavano a tagliar nel bosco, le capre si sgravavano felicemente, e subito, succhiando il latte grasso e nutriente, i capretti si sentivano forti, aprivan gli occhi e addrizzavano le esili zampette ripiegate.

La neve, come avviene nel Nuorese, durò poco. Dapprima una forte pioggia, di cui ogni goccia scavava un buco nella neve già sotto corrosa, poi il vento detto dai Nuoresi pappa nie (mangia neve1) spazzarono la valle e la montagna. Dal bosco la neve cadde a mucchi, e solo qua e là sui più grossi rami ne rimase un po', cristallizzata dal gelo. Un giorno, dopo il lungo vaporar triste degli orizzonti, apparve il sole, e il cielo s'incurvò come uno specchio di lucida turchese sui nitidi profili marmorei, sulle lame brillanti delle montagne lontane. I ghiacciuoli di cristallo pendenti dai rami e la neve sulle roccie sprizzarono scintille iridate; la sottile erba invernale, su cui la brina stendeva le sue filograne, brillò anch'essa, smeraldina; e i capretti candidi e neri scesero saltellando dalla mandria.

Una sera Basilio montò a cavallo per ricondurre zio Pietro all'ovile. Egli non si era ingannato; Melchiorre aveva paura. Lo vedeva trasalire ad ogni rumore, vegliar la notte, guardar sempre lontano un po' spaurito. Doveva dormire di giorno, forse celandosi nelle grotte, perché s'assentava senza dire dove andava. Di scender poi a Nuoro non ci pensava neppure; quindi Basilio partì felice, sicuro di rivedere l'amata.

E infatti durante quell'inverno la rivide spesso, Zio Pietro, tornato all'ovile, non se ne mosse più. Col tempo Melchiorre parve rassicurarsi; tuttavia continuava a mandar Basilio a Nuoro col latte.

Essendo le albe tarde e crude, Melchiorre mungeva le capre sul tardi; quindi il latte veniva portato di sera perché zia Bisaccia lo passava al fuoco e lo vendeva il mattino dopo per tempo; e spesso Basilio passava la notte a Nuoro.

A giorni egli ritornava all'ovile con gli occhi lucenti di gioia, ricordando il recente convegno con Paska: la sua letizia però aveva spesso un fondo d'amarezza. Alla spensierata ebbrezza dei primi giorni seguivano le inquietudini per l'avvenire. L'uomo si destava nell'adolescente. Preso perdutamente di Paska, egli ormai non aveva che il continuo e selvaggio desiderio di farla sua moglie; ma come fare? La povertà gli pesava sulle spalle come una pietra, e la stessa sua giovinezza lo rendeva infelice.

Non dormiva più come prima: torbidi pensieri gli battevano alle tempia, mentre fuori il vento scrosciava come una cascata: in quelle notti egli odiava Melchiorre che ora lo maltrattava ingiustamente; lo odiava non solo per ciò e perché era stato amico di Paska, ma perché possedeva tanto bestiame, tanto terreno, mentre egli non aveva nulla e doveva servirlo per vivere.

In casa di zia Bisaccia sentiva talvolta le storielle che si narravano sul conto di Paska. Pure fremendo per opposte passioni - gelosia, ira contro i maldicenti, disgusto, dubbio, amore - egli le riferiva ingenuamente ogni cosa, ma bastava un bacio di Paska per rasserenarlo. In fondo, però, come lievito acre, gli restava la gelosia. E avrebbe voluto sposarsi subito, oltre che per soddisfar la sua violenta passione, perché era certo che Paska diventando sua moglie non avrebbe più guardato altro uomo e le chiacchiere sarebbero cessate.

Un giorno domandò a zio Pietro:

«È vero, zio Pietro, che quando un pastore torna da far il soldato e non ha nulla, gli amici gli dànno ciascuno un capo di bestiame e così mette su un buon gregge?».

«Secondo. Se è un giovine onesto e benvoluto!»

«E a voi, quando siete tornato da far il soldato, vi regalarono le pecore?»

«Sì.»

«E poi vi siete sposato?»

«E poi mi sono sposato.»

«Raccontatemi, zio Pietro raccontatemi!»

«Senti. Allora tutti mi volevano bene. Ma anch'io, non è per vantarmi, non facevo male a nessuno. Quando avevo la tua età ero anch'io servo. Avevo una padrona vecchia come una strada: il suo figlio unico, quando io ero al loro servizio venne arrestato e condannato a cinque anni di prigione. La padrona ne ammalò per il dispiacere, tanto che stava per rendere gli spiriti al Signore. Sapendo che la giustizia si sarebbe preso tutto, se ereditava il figliuolo, cosa fa? Fa testamento in mio favore, sicura che io, come le avevo promesso, avrei restituito tutto al figliuolo quando questi sarebbe tornato dal carcere. E così feci. E il figliuolo allora mi regalò venti capre pregne.»

Basilio ricordò la storiella del porchetto di zio Bakis, e guardò fisso il cieco: che differenza fra l'ometto dagli occhi azzurri e questo gran vecchio che raccontava così semplicemente le sue buone azioni!

«Cuor mio!», esclamò, ridendo e battendosi un pugno sul petto. «Io m'avrei tenuto tutto!»

«E poi?», chiese zio Pietro, severo.

«Poi avrei sposato una bella ragazza. Facevate all'amore allora, voi? Oh, si vede che non facevate all'amore.»

«Lo vedi? Ti sbagli. Lo facevo anzi, ma se la beata Maria Grazia mi avesse ritenuto capace di disonestà non mi avrebbe sposato. Oh, che dici davvero?»

Basilio curvò la testa sul focolare spento, ma quasi sulla pietra ardesse il fuoco sentì una vampa bruciargli il viso. Pensava a Paska.

«Almeno la metà! Almeno la metà! zio Pietro! Siete stato stupido», disse poi ridendo d'un falso riso.

«Nulla. Nulla. Essa non mi avrebbe voluto.»

«Era una donna semplice», disse Basilio, e uscito fuori sputò con disprezzo.

1Lo scirocco.

© Grazia Deledda







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dal 2021-09-01
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