GLI
AUDIOLIBRI DI PB
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La mia vecchia Renault 18 diesel fila a centodieci
all'ora sull'autostrada per Roma. Lo so che
non è una gran velocità, ma io
sono abbastanza prudente, e poi è il
massimo che riesco a ottenere dall'auto. A dire
la verità, speravo di poterne comprare
una nuova con il ricavato del libro che ho pubblicato
cinque mesi fa ma, a quanto pare, riuscirò
a venderne sì e no un migliaio di copie
e quindi sono costretto a rinviare ogni speranza
di miglioramento economico. Anche per questo
sono uno scrittore deluso.
E' ancora maggio, ma il caldo è già
insopportabile. L'autostrada davanti a me sembra
tremolare e perdersi in lontananze imprecise
e azzurrognole. Nelle corsie che vanno in senso
opposto, le auto dei turisti formano lunghe
colonne: corrono verso il mare, immagino; è
domenica. Molti si trascinano dietro roulottes,
motoscafi e gommoni. Ricomincia la giostra:
milioni di italiani, che per tutto l'anno sputano
veleno verso sud, in estate si ricordano del
suo mare pulito e della sua ospitalità.
Il mio nome è Pietro Satriano e sono
originario di Montelupi, un posto dimenticato
della Terronia interna. Da ragazzo, quando mi
aggiravo in solitudine fra i vicoli che s'incuneavano
testardi nelle crepe di quell'aspra collina,
fino a giungere alle torri del castello medievale,
che racchiudeva il segreto della morte violenta
della regina Giovanna, avevo già netta
la sensazione di essere perduto in un posto
sperduto.
A volte, a Montelupi, nei tramonti del primo
autunno, mi riempivo gli occhi di colori e di
gioia alla vista dei muli che tornavano dalla
montagna carichi di legna o che portavano in
paese, dalle vigne, profondi cesti ripieni di
uva profumata, pronta per essere pigiata da
uomini scalzi e, per una volta, allegri. Ma
quella momentanea vitalità s'infrangeva
ben presto contro le pietre dure e insensibili
del selciato e non bastava a estirpare la sottile
oppressione di fili e trame irreali che si svolgevano
intorno a me. Molti anni prima, proprio in quelle
stradine, un mio trisavolo aveva ucciso due
briganti e ne aveva ferito un altro gravemente
e anche una mia bisnonna aveva avuto a che fare
con i briganti: con un'accetta aveva spaccato
la testa a uno di loro ed era finita in carcere.
Mio padre, invece, è sempre stato di
un'umiltà estrema, troppo onesto e troppo
buono per una società di esseri famelici
e di preti e politici e gente civilmente ipocrita,
ma che ti frega comunque. Io, da parte mia,
mi sono portato dentro una buona dose di rabbia
e ho continuato a odiare un po' tutti, dai professori
agli editori, dai personaggi pubblici ai turisti,
agli immigrati, ai medici, agli avvocati, a
tutti quelli che vivono come se sapessero davvero
come si fa e nascondono le loro frustrazioni
mentali e fisiche dietro al moralismo. Così
come odio questa gente del sud che non cambia,
questo paese intriso di inutili padrini, e la
vergogna di essere cani e scodinzolare per miseri
tocchi di pane.
Ricordo gli emigranti che partivano da Montelupi,
quand'ero ragazzo. Avevano le valige piene di
pane e di bottiglie di vino. Erano legate con
lo spago e se le trascinavano dietro a fatica,
ma tutto il contenuto, a ben guardare, si poteva
comprare con pochi soldi. In realtà,
si portavano dietro l'illusione, un legame con
la loro terra. Ma il cordone ombelicale è
qualcosa che strappiamo dalla madre quando nasciamo.
D'allora in avanti è una continua, incessante
e imprevedibile migrazione. Anch'io sono emigrato.
Attualmente vivo a Capo Saraceno, un promontorio
situato fra Punta Campanella e Capo Palinuro,
nella Terronia costiera, dove insegno italiano
in una scuola. Per me, che vengo dall'interno,
il mare ha sempre rappresentato l'idea dello
spazio e della libertà. E ciò
ripaga in parte i difetti di questo paesotto
di provincia, dove ancora si vive divisi in
caste dai connotati medievali e dove il progresso
sociale e mentale è una pura strazione.
Ultimamente, poi, ci sono state delle aggressioni
ad alcuni extracomunitari ('ex comunitari',
come dice Marianna, un'amica di mia moglie)
i quali, si prevede, stanno tramando vendetta.
- Forse è per questo che mia moglie mi
ha detto di tornare presto, stamattina -. Ma
sono sicuro che si tratta di episodi isolati.
La cittadina è molto più tranquilla
di tante altre.
Ma vivere al sud è come appassire lentamente.
Si è presi dal mal mediterraneo, una
specie di negativa atarassia. Qualsiasi cosa
uno faccia, qui, non conterà mai nulla.
Sei cortese con le persone, e loro ti considerano
un imbecille. Le cose importanti finiscono per
naufragare in una barzelletta. Lontano dalle
grandi città, che provocano percezioni
sensoriali violente e ti avviluppano nell'ingranaggio,
giusto o perverso che sia, qui al sud non si
ha voglia di fare niente. Non c'è incentivo
a fare niente, tanto tutto è destinato
a passare sempre dalle untuose mani dei politici
e degli intrallazzatori. Ci si adegua alla mediocrità.
Non sono né alto né basso, né
bello né brutto, né ricco né
povero, etc.
Il danaro, ecco: è ciò che stabilisce
la scala dei valori. Ne siamo tutti convinti,
per cui che serve darsi da fare se poi non si
può pagare? Vuoi un diploma? Devi pagare
dieci milioni. Vuoi un posto? Pagane quindici.
Vuoi eliminare un avversario, un nemico, un
concorrente? Bastano tre milioni. A Capo Saraceno
si racconta di un commissario d'esami che, per
promuovere una ragazza, richiese da suo padre,
un contadino, una pecora, per poi rivenderla
al macellaio.
E' un paese che cerca di superare i periodi
di crisi cercando di risparmiare. E tutti quelli
che vedi sono degli evasori fiscali: la parrucchiera,
il ginecologo, il commerciante, il dentista.
"Vai caro; stammi bene" mi ha detto
il dentista l'ultima volta che ci sono andato,
sedendosi dietro la scrivania per riporre i
soldi in un cassetto e senza alzare lo sguardo.
Mi chiedo cosa ci stiano a fer qui i giovani.
Perché i giovani che hanno due braccia,
due gambe, il dono della parola e della vista,
magari un cervello, non partono? Cosa li trattiene?
A cosa sono attaccati? Quali sogni credono di
poter realizzare qui?
Non sanno che l'Australia offre sterminate praterie
e l'Oregon sorgenti di acqua pulita? Il Canada,
la Polinesia, il Pacifico, non dicono loro nulla?
Hanno valore ancora parole come neve, foreste,
nuovi orizzonti? Non sanno che la vera patria
è il posto dove riusciranno a vivere
con dignità, mentre qui non hanno niente,
perché non hanno futuro, se non quello
di elemosinare. Se non di assistere alla loro
lenta decadenza, col rischio di finire preda
della droga.
Il tratto di mare adiacente a Capo Saraceno,
che diventa insidioso in corrispondenza di scogli
semisommersi e delle secche, è stato
testimone, anticamente, del traffico intenso
che si svolgeva su questa rotta e molte navi
fecero naufragio, affondando con il loro carico
di merci provenienti dal Tirreno inferiore e
dirette a Paestum e a Neapolis. Erano per lo
più le navi onerarie romane, stipate
di anfore di terracotta. Tali anfore vengono
rinvenute di frequente, insieme ad àncore
di piombo e di pietra, e issate dalle barche
dei pescatori al secco sul molo. Sono piccoli
ritrovamenti, ma infondono il senso della storia
e aiutano a sopportare i colpi di un presente
inconcludente.
Accanto a me in auto è seduto Michele
Santagata, un calabrese impiegato alla Sip che
ho conosciuto nel bar del mio quartiere, il
'Bar degli Sportivi' (e come altro si potrebbe
chiamare un bar in un paese dedito anima e corpo
al calcio?). E' da tempo che io e Michele siamo
amici. Lui è un tipo dalla carnagione
scura, non molto alto e con i capelli e i baffi
neri. Somiglia a un arabo. Mi ricorda 'Il piccolo
legionario', un personaggio di Sven Hassel.
Il suo stipendio non gli consente di vestire
alla moda e così indossa delle strette
giacche spigate, stile anni Settanta. Una volta,
scherzando, un mio collega mi ha chiesto se
Michele mi faceva da guardia del corpo. Inoltre,
lui non sa niente di letteratura e mi piace
anche per questo, così possiamo parlare
di tutto senza fare gli intellettuali per forza.
Sono contento che mi abbia accompagnato. E'
sempe più raro trovare disponibilità
di tempo da parte delle persone.
"Allora, mi vuoi dire dove stiamo andando?"
mi chiede.
"A Roma" rispondo, e rido.
"Grazie, questo l'ho capito. Ma dove esattamente?".
"Come sai, ho scritto un libro che s'intitola
'Il raccoglitore di rifiuti'. L'ho scritto dopo
che le case editrici avevano rifiutato opere
più serie, a dimostrazione che la gente
vuole roba d'evasione. Bene, questo mi ha dato
un po' di notorietà. Sono stato invitato
a un convegno per parlare di libri".
"Chi ci sarà?".
"Nessuno d'importante, qualche studente
e qualche giornalista che vuole scrivere un
pezzo su di me".
"Ho capito, e dopo?".
"Dopo ce ne andiamo un po' a spasso per
la capitale, mangiamo qualcosa e torniamo...
Perché, hai già nostalgia di Capo
Saraceno?".
"Figurati, una giornata lontana dal paese
e da mia moglie mi farà bene".
"Sono d'accordo". Cade un silenzio.
Siamo in vaggio da mezz'ora e già i contorni
del paesaggio stanno cambiando. Stiamo lasciando
la Terronia meridionale per quella centrale.
Fumiamo.
"Hai visto" dice Michele dopo un po',
"vogliono far fuori Berlusconi a tutti
i costi. Non ho ancora capito chi ha ragione,
se lui o i comunisti".
"E non lo capirai mai. In politica le apparenze
non contano. Quello per cui veramente si danno
da fare sono i grandi interessi economici, non
certo le aspettative della gente. Lascia che
si scannino fra loro, tanto sono tutti uguali.
I politici sono tutti ladri, il 95 per cento
materialmente e tutti indistintamente in senso
metafisico. Rubano il nosto futuro e ce lo rivendono
come vogliono loro".
"Non cominciare a parlare difficile...
Ma tu, a Berlusconi, gli hai scritto? Anche
lui è un editore. Se ti fai conoscere,
ti chiama in televisione e allora sì
che vendi i libri".
"Sono stanco di elemosinare. Questo è
un paese schifoso e se non hai raccomandazioni
non fai molta strada. Bisognerebbe far parte
di qualche loggia massonica, oppure mettersi
in politica, ma non fa per me. Non ho la stoffa
del leccapiedi".
"Ma se vuoi arrivare..."
"Beh... prima ci tenevo, per più
di dieci anni ho tentato di tutto, ma ora ho
capito che la gente cerca il personaggio, non
se ne frega niente di quello che pensi, o scrivi,
e io non ho certo voglia di dannarmi la vita
come uno 'sgarbi', sempre incazzato e polemico".
"E perché vai a Roma, allora?".
"Il mio editore dice che è utile
farsi vedere in giro. Glielo devo, perché
ha speso dei soldi per pubblicare il mio libro.
Ma so che non serve: la gente non legge, guarda
la televisione e si aspetta di vedere sempre
qualche strano animale".
"E allora comincia a fare il pazzo anche
tu".
"Non posso. Sono assolutamente normale,
quando non scrivo. Ma mi è utile per
mimetizzarmi, per osseravre meglio, senza essere
al centro dell'attenzione". Cade un nuovo
silenzio. Michele accende la radio e ascoltiamo
un certo Grignani che canta una canzone in cui
parla del paradiso.
"Questo cantante è appena un ragazzo"
mi aggiorna Michele, "ha cantato al festival
di Sanremo e ora è diventato ricco e
famoso. Con una sola canzone".
"Lo vedi? Nella vita ci vuole fortuna.
Forse bisogna anche essere belli. Oppure testardi
e molto sicuri di sè. A volte invidio
gli scrittori ebrei... Loro sì che sono
bravi. La paura fa diventare sensibili e loro
ce l'hanno nei cromosomi: la paura dell'Olocausto,
della diaspora, delle persecuzioni. I loro cervelli
sono supercompressi di intelligente paura. Ti
posso fare qualche nome, se vuoi: Ginsberg,
Goldberg, Nadine Gordimer, Proust, Edmond Jabés,
Franz Kafka, Joseph Kessel, Leone Ebreo (un
portoghese del 1400), Delmore Schwartz, Arthur
Schnitzler, Umberto Saba, Shalom Aleichem, Primo
Levi e gli altri Levi, Jehudah Portoleone, Joseph
Roth, Philiph Roth, Susan Sontag, Gertrude Stein,
Italo Svevo, Peter Weiss, Giorgio Bassani, Arnold
Zweig, Simone Weil, Ernst Toller, etc".
"Non ne conosco neanche uno".
Rido. Mi piace Michele. E' riuscito a vivere
quarantatrè anni anche senza conoscere
uno scrittore ebreo. Poi continuo: "Gli
ebrei hanno la certezza di essere degli eletti;
gli ebrei scrittori sanno esprimere tutta la
gamma delle emozioni, delle inquietudini; sono
bravissimi nell'introspezione, arano la loro
anima con gli aghi, e riescono a dare la sensazione
che ciò che capita a loro sia più
significativo e importante di ciò che
succede agli altri. Inoltre, riescono a mantenere
la loro coerenza, fosse anche solo quella di
andare dritto allo scopo, che è quello
di fare soldi. Gli ebrei, quando poi sono anche
gay, arrivano dove vogliono; non si rilassano
mai. Giungono alla fine della vita, hanno avuto
ciò che volevano, e si dispongono già
a iniziare la loro carriera nella morte. Naturalmente
hanno i loro limiti, per esempio non riescono
a esprimere bene il senso magico e l'istinto
primitivo di un rapporto, o il piacere del possesso
violento, ma questo spesso è ininfluente
ai fini del guadagno".
"Non ho capito. A te cosa manca?".
"Non lo so. Forse non sono abbastanza cinico,
come si conviene a un vero scrittore, o forse
sono troppo incostante. E poi per me la scrittura
è libertà... Insomma, la libertà
di dire oggi che sono fascista e domani che
sono qualunquista o comunista, o dire che me
ne fotto di qualsiasi ideologia. Non ho abbastanza
fede per sostenere, per esempio, che la letteratura
è una chiave per interpretare il mondo.
Non credo neppure che serva a qualcosa darsi
da fare per i propri simili. Anzi, forse sono
anche un poco razzista, e invece il potere vuole
persone affidabili; che dicano pure un sacco
di stronzate, ma che siano coerenti e fiduciosi
nella propria missione. Per me invece la letteratura
è solo un mezzo per esprimere le proprie
contraddizioni, e può essere etica o
divertente, altisonante o di basso profilo,
ma se non mi fa guadagnare qualcosa in termini
di moneta sonante, cioè se non è
intesa a costruire la cultura del danaro, che
da sempre è la cultura dominante, non
serve a niente. E non posso dare torto alle
case editrici se vogliono solo vendere e cestinano
in continuazione i libri cervellotici e di autori
sconosciuti".
Mi accorgo che Michele si sta annoiando. Ci
fermiamo a un autogrill e prendiamo un caffè.
Andiamo anche alla toilette e usciamo senza
neppure lasciare la mancia. Se fossi stato con
un intellettuale, non lo avrei potuto fare.
Mentre risaliamo in auto, Michele dice: "Hai
visto quant'era 'bona' quella?".
"L'ho visto, l'ho visto" convengo
io." (...)
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