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Vita da scrittore
di Giuseppe Cerone


Vita da scrittore
di Giuseppe Cerone

1

La mia vecchia Renault 18 diesel fila a centodieci all'ora sull'autostrada per Roma. Lo so che non è una gran velocità, ma io sono abbastanza prudente, e poi è il massimo che riesco a ottenere dall'auto. A dire la verità, speravo di poterne comprare una nuova con il ricavato del libro che ho pubblicato cinque mesi fa ma, a quanto pare, riuscirò a venderne sì e no un migliaio di copie e quindi sono costretto a rinviare ogni speranza di miglioramento economico. Anche per questo sono uno scrittore deluso.
E' ancora maggio, ma il caldo è già insopportabile. L'autostrada davanti a me sembra tremolare e perdersi in lontananze imprecise e azzurrognole. Nelle corsie che vanno in senso opposto, le auto dei turisti formano lunghe colonne: corrono verso il mare, immagino; è domenica. Molti si trascinano dietro roulottes, motoscafi e gommoni. Ricomincia la giostra: milioni di italiani, che per tutto l'anno sputano veleno verso sud, in estate si ricordano del suo mare pulito e della sua ospitalità.
Il mio nome è Pietro Satriano e sono originario di Montelupi, un posto dimenticato della Terronia interna. Da ragazzo, quando mi aggiravo in solitudine fra i vicoli che s'incuneavano testardi nelle crepe di quell'aspra collina, fino a giungere alle torri del castello medievale, che racchiudeva il segreto della morte violenta della regina Giovanna, avevo già netta la sensazione di essere perduto in un posto sperduto.
A volte, a Montelupi, nei tramonti del primo autunno, mi riempivo gli occhi di colori e di gioia alla vista dei muli che tornavano dalla montagna carichi di legna o che portavano in paese, dalle vigne, profondi cesti ripieni di uva profumata, pronta per essere pigiata da uomini scalzi e, per una volta, allegri. Ma quella momentanea vitalità s'infrangeva ben presto contro le pietre dure e insensibili del selciato e non bastava a estirpare la sottile oppressione di fili e trame irreali che si svolgevano intorno a me. Molti anni prima, proprio in quelle stradine, un mio trisavolo aveva ucciso due briganti e ne aveva ferito un altro gravemente e anche una mia bisnonna aveva avuto a che fare con i briganti: con un'accetta aveva spaccato la testa a uno di loro ed era finita in carcere.
Mio padre, invece, è sempre stato di un'umiltà estrema, troppo onesto e troppo buono per una società di esseri famelici e di preti e politici e gente civilmente ipocrita, ma che ti frega comunque. Io, da parte mia, mi sono portato dentro una buona dose di rabbia e ho continuato a odiare un po' tutti, dai professori agli editori, dai personaggi pubblici ai turisti, agli immigrati, ai medici, agli avvocati, a tutti quelli che vivono come se sapessero davvero come si fa e nascondono le loro frustrazioni mentali e fisiche dietro al moralismo. Così come odio questa gente del sud che non cambia, questo paese intriso di inutili padrini, e la vergogna di essere cani e scodinzolare per miseri tocchi di pane.
Ricordo gli emigranti che partivano da Montelupi, quand'ero ragazzo. Avevano le valige piene di pane e di bottiglie di vino. Erano legate con lo spago e se le trascinavano dietro a fatica, ma tutto il contenuto, a ben guardare, si poteva comprare con pochi soldi. In realtà, si portavano dietro l'illusione, un legame con la loro terra. Ma il cordone ombelicale è qualcosa che strappiamo dalla madre quando nasciamo. D'allora in avanti è una continua, incessante e imprevedibile migrazione. Anch'io sono emigrato.
Attualmente vivo a Capo Saraceno, un promontorio situato fra Punta Campanella e Capo Palinuro, nella Terronia costiera, dove insegno italiano in una scuola. Per me, che vengo dall'interno, il mare ha sempre rappresentato l'idea dello spazio e della libertà. E ciò ripaga in parte i difetti di questo paesotto di provincia, dove ancora si vive divisi in caste dai connotati medievali e dove il progresso sociale e mentale è una pura strazione. Ultimamente, poi, ci sono state delle aggressioni ad alcuni extracomunitari ('ex comunitari', come dice Marianna, un'amica di mia moglie) i quali, si prevede, stanno tramando vendetta. - Forse è per questo che mia moglie mi ha detto di tornare presto, stamattina -. Ma sono sicuro che si tratta di episodi isolati. La cittadina è molto più tranquilla di tante altre.
Ma vivere al sud è come appassire lentamente. Si è presi dal mal mediterraneo, una specie di negativa atarassia. Qualsiasi cosa uno faccia, qui, non conterà mai nulla. Sei cortese con le persone, e loro ti considerano un imbecille. Le cose importanti finiscono per naufragare in una barzelletta. Lontano dalle grandi città, che provocano percezioni sensoriali violente e ti avviluppano nell'ingranaggio, giusto o perverso che sia, qui al sud non si ha voglia di fare niente. Non c'è incentivo a fare niente, tanto tutto è destinato a passare sempre dalle untuose mani dei politici e degli intrallazzatori. Ci si adegua alla mediocrità. Non sono né alto né basso, né bello né brutto, né ricco né povero, etc.
Il danaro, ecco: è ciò che stabilisce la scala dei valori. Ne siamo tutti convinti, per cui che serve darsi da fare se poi non si può pagare? Vuoi un diploma? Devi pagare dieci milioni. Vuoi un posto? Pagane quindici. Vuoi eliminare un avversario, un nemico, un concorrente? Bastano tre milioni. A Capo Saraceno si racconta di un commissario d'esami che, per promuovere una ragazza, richiese da suo padre, un contadino, una pecora, per poi rivenderla al macellaio.
E' un paese che cerca di superare i periodi di crisi cercando di risparmiare. E tutti quelli che vedi sono degli evasori fiscali: la parrucchiera, il ginecologo, il commerciante, il dentista. "Vai caro; stammi bene" mi ha detto il dentista l'ultima volta che ci sono andato, sedendosi dietro la scrivania per riporre i soldi in un cassetto e senza alzare lo sguardo. Mi chiedo cosa ci stiano a fer qui i giovani. Perché i giovani che hanno due braccia, due gambe, il dono della parola e della vista, magari un cervello, non partono? Cosa li trattiene? A cosa sono attaccati? Quali sogni credono di poter realizzare qui?
Non sanno che l'Australia offre sterminate praterie e l'Oregon sorgenti di acqua pulita? Il Canada, la Polinesia, il Pacifico, non dicono loro nulla? Hanno valore ancora parole come neve, foreste, nuovi orizzonti? Non sanno che la vera patria è il posto dove riusciranno a vivere con dignità, mentre qui non hanno niente, perché non hanno futuro, se non quello di elemosinare. Se non di assistere alla loro lenta decadenza, col rischio di finire preda della droga.
Il tratto di mare adiacente a Capo Saraceno, che diventa insidioso in corrispondenza di scogli semisommersi e delle secche, è stato testimone, anticamente, del traffico intenso che si svolgeva su questa rotta e molte navi fecero naufragio, affondando con il loro carico di merci provenienti dal Tirreno inferiore e dirette a Paestum e a Neapolis. Erano per lo più le navi onerarie romane, stipate di anfore di terracotta. Tali anfore vengono rinvenute di frequente, insieme ad àncore di piombo e di pietra, e issate dalle barche dei pescatori al secco sul molo. Sono piccoli ritrovamenti, ma infondono il senso della storia e aiutano a sopportare i colpi di un presente inconcludente.
Accanto a me in auto è seduto Michele Santagata, un calabrese impiegato alla Sip che ho conosciuto nel bar del mio quartiere, il 'Bar degli Sportivi' (e come altro si potrebbe chiamare un bar in un paese dedito anima e corpo al calcio?). E' da tempo che io e Michele siamo amici. Lui è un tipo dalla carnagione scura, non molto alto e con i capelli e i baffi neri. Somiglia a un arabo. Mi ricorda 'Il piccolo legionario', un personaggio di Sven Hassel. Il suo stipendio non gli consente di vestire alla moda e così indossa delle strette giacche spigate, stile anni Settanta. Una volta, scherzando, un mio collega mi ha chiesto se Michele mi faceva da guardia del corpo. Inoltre, lui non sa niente di letteratura e mi piace anche per questo, così possiamo parlare di tutto senza fare gli intellettuali per forza. Sono contento che mi abbia accompagnato. E' sempe più raro trovare disponibilità di tempo da parte delle persone.
"Allora, mi vuoi dire dove stiamo andando?" mi chiede.
"A Roma" rispondo, e rido.
"Grazie, questo l'ho capito. Ma dove esattamente?".
"Come sai, ho scritto un libro che s'intitola 'Il raccoglitore di rifiuti'. L'ho scritto dopo che le case editrici avevano rifiutato opere più serie, a dimostrazione che la gente vuole roba d'evasione. Bene, questo mi ha dato un po' di notorietà. Sono stato invitato a un convegno per parlare di libri".
"Chi ci sarà?".
"Nessuno d'importante, qualche studente e qualche giornalista che vuole scrivere un pezzo su di me".
"Ho capito, e dopo?".
"Dopo ce ne andiamo un po' a spasso per la capitale, mangiamo qualcosa e torniamo... Perché, hai già nostalgia di Capo Saraceno?".
"Figurati, una giornata lontana dal paese e da mia moglie mi farà bene".
"Sono d'accordo". Cade un silenzio. Siamo in vaggio da mezz'ora e già i contorni del paesaggio stanno cambiando. Stiamo lasciando la Terronia meridionale per quella centrale. Fumiamo.
"Hai visto" dice Michele dopo un po', "vogliono far fuori Berlusconi a tutti i costi. Non ho ancora capito chi ha ragione, se lui o i comunisti".
"E non lo capirai mai. In politica le apparenze non contano. Quello per cui veramente si danno da fare sono i grandi interessi economici, non certo le aspettative della gente. Lascia che si scannino fra loro, tanto sono tutti uguali. I politici sono tutti ladri, il 95 per cento materialmente e tutti indistintamente in senso metafisico. Rubano il nosto futuro e ce lo rivendono come vogliono loro".
"Non cominciare a parlare difficile... Ma tu, a Berlusconi, gli hai scritto? Anche lui è un editore. Se ti fai conoscere, ti chiama in televisione e allora sì che vendi i libri".
"Sono stanco di elemosinare. Questo è un paese schifoso e se non hai raccomandazioni non fai molta strada. Bisognerebbe far parte di qualche loggia massonica, oppure mettersi in politica, ma non fa per me. Non ho la stoffa del leccapiedi".
"Ma se vuoi arrivare..."
"Beh... prima ci tenevo, per più di dieci anni ho tentato di tutto, ma ora ho capito che la gente cerca il personaggio, non se ne frega niente di quello che pensi, o scrivi, e io non ho certo voglia di dannarmi la vita come uno 'sgarbi', sempre incazzato e polemico".
"E perché vai a Roma, allora?".
"Il mio editore dice che è utile farsi vedere in giro. Glielo devo, perché ha speso dei soldi per pubblicare il mio libro. Ma so che non serve: la gente non legge, guarda la televisione e si aspetta di vedere sempre qualche strano animale".
"E allora comincia a fare il pazzo anche tu".
"Non posso. Sono assolutamente normale, quando non scrivo. Ma mi è utile per mimetizzarmi, per osseravre meglio, senza essere al centro dell'attenzione". Cade un nuovo silenzio. Michele accende la radio e ascoltiamo un certo Grignani che canta una canzone in cui parla del paradiso.
"Questo cantante è appena un ragazzo" mi aggiorna Michele, "ha cantato al festival di Sanremo e ora è diventato ricco e famoso. Con una sola canzone".
"Lo vedi? Nella vita ci vuole fortuna. Forse bisogna anche essere belli. Oppure testardi e molto sicuri di sè. A volte invidio gli scrittori ebrei... Loro sì che sono bravi. La paura fa diventare sensibili e loro ce l'hanno nei cromosomi: la paura dell'Olocausto, della diaspora, delle persecuzioni. I loro cervelli sono supercompressi di intelligente paura. Ti posso fare qualche nome, se vuoi: Ginsberg, Goldberg, Nadine Gordimer, Proust, Edmond Jabés, Franz Kafka, Joseph Kessel, Leone Ebreo (un portoghese del 1400), Delmore Schwartz, Arthur Schnitzler, Umberto Saba, Shalom Aleichem, Primo Levi e gli altri Levi, Jehudah Portoleone, Joseph Roth, Philiph Roth, Susan Sontag, Gertrude Stein, Italo Svevo, Peter Weiss, Giorgio Bassani, Arnold Zweig, Simone Weil, Ernst Toller, etc".
"Non ne conosco neanche uno".
Rido. Mi piace Michele. E' riuscito a vivere quarantatrè anni anche senza conoscere uno scrittore ebreo. Poi continuo: "Gli ebrei hanno la certezza di essere degli eletti; gli ebrei scrittori sanno esprimere tutta la gamma delle emozioni, delle inquietudini; sono bravissimi nell'introspezione, arano la loro anima con gli aghi, e riescono a dare la sensazione che ciò che capita a loro sia più significativo e importante di ciò che succede agli altri. Inoltre, riescono a mantenere la loro coerenza, fosse anche solo quella di andare dritto allo scopo, che è quello di fare soldi. Gli ebrei, quando poi sono anche gay, arrivano dove vogliono; non si rilassano mai. Giungono alla fine della vita, hanno avuto ciò che volevano, e si dispongono già a iniziare la loro carriera nella morte. Naturalmente hanno i loro limiti, per esempio non riescono a esprimere bene il senso magico e l'istinto primitivo di un rapporto, o il piacere del possesso violento, ma questo spesso è ininfluente ai fini del guadagno".
"Non ho capito. A te cosa manca?".
"Non lo so. Forse non sono abbastanza cinico, come si conviene a un vero scrittore, o forse sono troppo incostante. E poi per me la scrittura è libertà... Insomma, la libertà di dire oggi che sono fascista e domani che sono qualunquista o comunista, o dire che me ne fotto di qualsiasi ideologia. Non ho abbastanza fede per sostenere, per esempio, che la letteratura è una chiave per interpretare il mondo. Non credo neppure che serva a qualcosa darsi da fare per i propri simili. Anzi, forse sono anche un poco razzista, e invece il potere vuole persone affidabili; che dicano pure un sacco di stronzate, ma che siano coerenti e fiduciosi nella propria missione. Per me invece la letteratura è solo un mezzo per esprimere le proprie contraddizioni, e può essere etica o divertente, altisonante o di basso profilo, ma se non mi fa guadagnare qualcosa in termini di moneta sonante, cioè se non è intesa a costruire la cultura del danaro, che da sempre è la cultura dominante, non serve a niente. E non posso dare torto alle case editrici se vogliono solo vendere e cestinano in continuazione i libri cervellotici e di autori sconosciuti".
Mi accorgo che Michele si sta annoiando. Ci fermiamo a un autogrill e prendiamo un caffè. Andiamo anche alla toilette e usciamo senza neppure lasciare la mancia. Se fossi stato con un intellettuale, non lo avrei potuto fare. Mentre risaliamo in auto, Michele dice: "Hai visto quant'era 'bona' quella?".
"L'ho visto, l'ho visto" convengo io." (...)

A cura di Giuseppe Cerone

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