GLI
AUDIOLIBRI DI PB
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E' vero: noi Lucani siamo pazienti. E' stata
proprio questa virtù innata che mi ha
messo sulla buona strada nella ricerca di quel
qualcosa d'indefinito di cui tante volte abbiamo
parlato. Ti ricordi, vero, tutte le passeggiate
fuori dal paese nel tardo pomeriggio? Era così
bello, allora, il nostro paese. Prima del terremoto
tutto era più bello, e non solo perchè
avevamo qualche anno di meno, ma perché
ancora ci potevamo riconoscere nei nostri luoghi
dell'infanzia; allora il Muro non era diroccato.
Ma questa, credo, è pura nostalgia. Bene,
ti dicevo della pazienza. Sì, ho studiato
un po' di zen e te ne parlo volentieri, cominciando
col dirti che lo zen è la pazienza. A
questo punto, per la verità, potrei già
aver concluso, ma dubito che tu apprezzeresti
questa mia sinteticità, per cui parto
dall'inizio. Almeno, da quello che credo sia
l'inizio.
Ho letto che la parola giapponese 'zen' deriva
da "c'han", che era il nome della
scuola buddista meridionale cinese, che a sua
volta è una mutazione del termine sanscrito
"dhyana", che significa meditazione.
Lo zen, ho scoperto, è come l'essenza
di un fiore, e non si può descrivere
a parole. Se pure si riuscisse a sollecitarne
il ricordo o a provocarne la comprensione, avremmo
comunque solo la "conoscenza" del
fiore, ma non il suo profumo. L'unica cosa saggia
da fare sarebbe allora di cercare da sé
il fiore, perché lo zen è soprattutto
un'esperienza. Ma anche questa non sarebbe una
soluzione, perché è necessario
sapere cosa cercare e qual è la direzione
approssimativa, i sentieri e le vie indirette
che portano alla strada maestra. Lo zen è
infatti un richiamo, indefinibile e affascinante,
al nostro intuito; a qualcosa che abbiamo sepolto
dentro di noi ma che possiamo sempre riguadagnare
a noi stessi: è il senso dell'origine
e della fine, del tempo e del mistero svelato.
Lo zen ha percorso un lungo cammino, ancora
più lungo se si pensa che è solo
un'essenza e non una dottrina o un libro. Partì
come tutti noi dalla culla dell'umanità,
un posto imprecisato definito per comodità
"indo-europeo", e ha compiuto un viaggio
opposto alle nostre migrazioni. I nostri popoli
andarono a nord e a ovest per poi ridiscendere
a sud, lo zen aleggiò sulla Cina e si
fermo sul Giappone, da dove ci viene incontro,
da ponente. Qualche temerario era già
andato a cercarlo (H. Hesse: Il pellegrinaggio
in Oriente; Una vita indiana; Siddharta), ma
si era trovato di fronte a qualcosa che mal
s'intonava con la società pragmatista
e proiettata nel futuro come quella che si stava
costruendo in Occidente, basata sulle idee meccanicistiche
di Bacone, Newton, Cartesio, che non ammettevano
tale spreco d'intelligenza.
Altri ne presentivano l'esistenza e ricercavano
di per sé, ma ancora una volta la cultura
ufficiale impediva loro di spiegare le ali.
Oggi, forse, ora che i sogni di grandezza occidentali
sono quasi del tutto terminati, siamo più
maturi per avvicinarci con umiltà a questa
fonte, anche se per molto ancora dovremo sopportare
le conseguenze delle nostre ideologie politiche
e religiose, che vanno dal comunismo al cristianesimo,
e che spesso sono impacci inconcludenti, quantunque
radicati. Ma la fonte dello zen è troppo
pura e inalterata perchè la possa ancora
ignorare un mondo stanco di essere accecato
dal danaro, dal numero, dal tempo senza tregua.
Nella convinzione che la saggezza derivasse
dalla scienza, abbiamo elemosinato questo "dono
prezioso", che però molto spesso
assumeva (e assume) la forma di un oggetto contundente.
A tutt'oggi la si elemosina a scuola, che è
solo un posto dove si sprecano energie, non
si ritrovano. Forse che davvero ci coglierebbe
un senso di mortale smarrimento se perdessimo
le nostre "radici", se perdessimo
ciò che consideriamo un "patrimonio
culturale", anche se nessuno sa bene in
cosa consista ? Cosa ci succederebbe se disimparassimo
Dante, con le sue storie di inferni e paradisi,
e Manzoni, col suo utilitarismo religioso ?
Niente. Ma se ci avvicinassimo con animo nuovo
alla vita e alla natura, qui, ora, senza passato,
che poi non è altro se non un ricordo
di morte, allora sicuramente sarebbe un passo
avanti.
Ma forse tu ora stai pensando che questo rammarico
non è zen, perché chi ha lo zen
non rimprovera niente a nessuno, e invece Lin-Chi
così ammoniva: "I seguaci dello
zen devono solo appoggiarsi a se stessi, non
lasciarsi ingannare dagli altri. Se incontrano
un ostacolo lo devono abbattere; se incontrano
un dio, lo devono uccidere, perché l'unica
via della liberazione è uccidere tutti
gli idoli e spianarsi la strada verso il vuoto,
nel vuoto, nella libertà". E aggiungeva,
comunque: "Lo zen cammina, non ha fretta".
Mia cara amica, vorrei ora mettere un po' di
ordine nei miei pensieri e accennarti i temi,
o gli elementi impliciti, nella pratica dello
zen. Tutto nasce dalla domanda sul "perché
" della nostra vita, e quindi dalla ricerca
della coscienza di sé, dal senso del
tempo, della morte, della solitudine, e da ciò
che spinge gli uomini a superarli. Sul come
superarli ti parlerò più avanti,
quando vorrei anche confrontare l'approccio
occidentale con quello orientale, parlando anche
delle "tecniche" (yoga, meditazione,
koan). E infine cercheremo di vedere i risultati,
gli "illuminati".
Noterai sicuramente come, nel passaggio fra
la seconda parte e la terza, le due culture
divergano, perché, se meditazione c'è
per tutti in una fase intermedia (gli Orientali
si esercitano sui koan, circa 1700, e gli Occidentali
sugli interrogativi esistenziali), i primi risolvono
il problema in sintesi ed essenzialità,
mentre gli altri sembrano ancora annaspare fra
le parole e i concetti, e i vari tentativi di
spiegarli che, essendo imprecisi, tanto più
sono complessi. Insomma, lo zen in Oriente è
come il picco di una montagna, in Occidente
è come il mare, profondo e confuso, in
cui ancora non si intravedono le cime, che pure
ci sono. Il momento è comunque propizio.
Ti ho detto che lo zen è indefinibile
e incomunicabile: è un'intuizione, un'esperienza
che non può essere spiegata in parole
né si basa su tradizioni scritte o su
procedimenti scientifici. Qualcuno ha tentato
di renderlo palpabile, di indicarlo. Io vorrei
cercare di stringere ancora di più il
cerchio per cercare di avvolgere questo spirito
ineffabile, ma ti dico subito che, quando il
cerchio sarà chiuso, non avrò
lo zen, ma solo la conoscenza di esso, che,
ripeto, è tutt'altra cosa. Potrei anche
cercare, per esempio, di descriverlo dicendo
tutto ciò che non è, ma il punto
di arrivo sarebbe lo stesso perché, anche
se si dicesse tutto ciò che non è,
lo stesso riuscirebbe inafferrabile.
Solo con l'illuminazione di se stessi si ha
lo zen. D'altra parte, come diceva un tale:
"Cosa ti posso offrire, che non sia già
dentro di te ?", che corrisponde, più
o meno a: "E' difficile capire, è
difficile spiegare, se non hai capito già"
(F.Guccini).
E qui cominciamo con i paradossi, che gran parte
hanno nella pratica di avvicinamento allo zen.
Ma non c'è altro mezzo per cercare di
sfruttare al massimo la potenzialità
delle parole, anche se: "Le parole ! Cosa
vorrei poter dire ! Ma esse non sono altro che
passanti frettolosi dell'anima e nessun osservatore,
per quanto attento e profondo, potrà
svelare e trarre fuori l'incredibile energia
di cose racchiuse attraverso millenni e conservate
nell'anima" (V.Hugo)
Ma: "Se si ha lo zen non si ha più
paura: i dubbi e i desideri superflui si dissolvono;
si vince la schiavitù delle passioni.
Si è in grado di osservare la propria
fine come un petalo che cade da un fiore, con
serenità" (O.Senzaki).
Ecco perché è importante cercare
di comprendere quest'essenza: perché
sta a fondamento delle nostre più intime
aspirazioni. E non è detto che sia difficile,
dal momento che, superando ogni approccio intellettualistico,
lo zen si concede a volte senza sforzo all'intuizione
di chi vuole veramente possederlo. Molto è
dunque affidato alla nostra sensibilità,
a cui si chiede una certa tranquillità
nel lasciarsi andare alle suggestioni che riceverà
dalle parole. Le parole in sé non contengono
lo zen, come la luce di un fiammifero non contiene
il sole, ma anche una breve illuminazione può
venirci da una piccola fiamma, come da una semplice
parola. (continua)
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