GLI
AUDIOLIBRI DI PB
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"Gentile Cerone,
ho letto le sue poesie e ne ho apprezzato la
dignità etica. Testimoniano di un lavoro
impegnato. Un cordiale e buon lavoro. Antonio
porta"
Sono felice. Lo vedo come un giudizio positivo.Sono
riuscito a stabilire un contatto con un poeta
famoso. Devo pensare bene a cosa scrivergli,
ora.
E' il mio compleanno. Nessuno
mi festeggia e sono depresso. Ripenso alla mia
posizione di scrittore. Scrivere mi sembra niente
altro che un estremo rifugio, una forma di espiazione,
una denuncia dei propri crimini. Sì,
perché l'uomo è colpevole per
il fatto stesso che esiste, che si nutre a scapito
di tutte le altre creature. Questo mi pare che
sia il senso del peccato originale ereditato
dalle antiche religioni. Un'anima in vera armonia
col cosmo è quella mai nata. O, se nata,
lo è quando muore. Il suicidio potrebbe
essere una deliberata aspirazione all'armonia.
Gli altri , quelli che lottano e resistono,
sono le belve più feroci. Alcuni si avventurano
in politica, altri formano le mafie, altri nelle
altre cose, tutte uguali comunque. E c'è
anche una strana categoria che ha inventato
un grande Gioco, la letteratura organica. Le
parole sono diventate anch'esse una religione,
e quindi un peccato. Faccio parte del gioco
"mon semblable, mon frère".
Anch'io tento di utilizzare le parole come "panspernia",
per spandere il mio seme, cioè, allargare
la brama di comando oltre i confini imposti
dalla semplice fisicità corporea.
E' un gioco, ma pericoloso, perché suscita
fanatismo. Il fanatismo che sgorga copioso quando
si è sicuri di interpretare la verità.
E se io non ho questo fanatismo, perché
aggiungermi alla lista? A che serve? Per dire
e ridire sempre le stesse cose? Ricordo che
a 18 anni, volendo comunicare agli amici la
mia paura esistenziale( era il tempo in cui
ci si doveva abbassare alla stupidità
altrui, alla mediocre vita di gruppo- il gruppo
è un gregge- e bisognava inventare lazzi
per essere accolto) scrissi: " Quando tutto
è stato fatto, quando tutto è
stato detto, vivi la tua vita. Auguri".
Sbagliavo. Perché , pur essendosi dette
e fatte tante cose prima di me, quei tentativi
erano passati, trascorsi con le persone che
li avevano partoriti, e ora io ero il presente.
Il presente ha sempre qualcosa in più
del passato, per il semplice che è nuovo,
anche se simile o addirittura identico all'antico.
Altrimenti la vita sarebbe esclusivo appannaggio
di chi ha più esperienze, di chi è
venuto prima. Invece il presente è come
un figlio appena nato, che attrae le attenzioni
con i soli vagiti e nasconde alla vista, li
oscura, gli uomini grandi, quelli importanti,
parlanti. Per cui, se ritengo che non ci sia
più spazio per me, per la mia poesia,
per le mie forme espressive, sono in errore.
Ora ci sono io, questo solo conta. E come me
ce ne sono tanti ancora, scoraggiati, che se
solo sapessero di essere vivi, di non dover
dipendere dai fantasmi del passato, camminerebbero
spediti. Perché questa è la vita:
è una magia che si ripete. Una inesauribile
energia che rimbalza e ti tocca un momento,
quando è il tuo momento, senza rispetto
per il passato, che riposa, sia pure indimenticato.
C'è posto, allora, per nuovi pittori,
artisti e scrittori, giornalisti, contadini
e artigiani, medici e politici, avvocati e insegnanti.
La presenza di mostri nel passato non può
intimidire. Abbiamo parole che non conoscevano,
problematiche che neanche sognavano, orizzonti
più vasi. Ecco perché il ricordo
di tanti non mi fa più paura; caso mai
mi dovrebbe far male il pensiero di chi verrà
dopo di me, perché saranno loro a scalzare
il ricordo di me. Ma adesso non ci sono. Io
sì, ci sono, sono il presente, con la
potenzialità di annullare il passato,
con una forza tanto più grande in quanto
non ancora espressa. Io posso ancora raccogliere
tutta l'energia della vita intorno a me. Ogni
giorno lo posso fare. Ogni nuovo giorno. Non
sono prigioniero.
Metto un nastro nello stereo e ascolto per molte
volte la mia canzone preferita.
E' baker Street di Gerry Rafferty. Mi ricorda
una ragazza in Inghilterra, nel Surrey. Mi commuovo
fin quasi alle lacrime.
Dai giornali apprendo della morte
di Antonio porta, per un infarto. Aveva 54 anni
e si trovava a Roma, in attesa di partecipare
al Maurizio Costanzo Show. Ricordo una sua poesia,
"Una mendicante". Nell'ultimo verso
dice: "un giorno, quale non si può
dire, tutto accadrà spontaneamente".
Leggo l'articolo di Giuliano Gramigna sul Corriere
della Sera e , nelle pagine interne, i necrologi.
Non posso fare a meno di pensare che ho perduto
il primo interlocutore di prestigio che avevo
trovato. La sua sfortuna diventa la mia.
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