GLI
AUDIOLIBRI DI PB
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Mi ha detto il professor Bàrberi
Squarotti: "Non so proprio che cosa sia
la poesia, né se ci sia l'ispirazione
oppure no. Credo soltanto che sia una necessità
che si avverte di tanto in tanto da parte di
chi ne ha la capacità o la vocazione.
Che sia o no accettata dagli altri non ha nessuna
importanza. Sono convinto anch'io che una repubblica
di poeti (e di filosofi) non potrebbe che essere
meglio di quanto siano le altre repubbliche
'storiche', di ieri e di oggi, ma temo che questa
sia un'affermazione di pura protesta e negazione
e che, nella realtà, non ci sarebbe affatto
uno stato migliore, conoscendo la litigiosità,
la grettezza, la servilità, la limitatezza
mentale di tanti noi poeti. La poesia penso
sia il più alto livello a cui può
giungere la vocazione (che è in tutti
gli uomini) al sogno, all'invenzione, all'immaginazione.
Non è di tutti. Volerla diffondere fra
troppe persone, come se fosse un diritto, è
stolto. Non è soltanto comunicazione:
è soprattutto creazione di una 'realtà'
che, prima, non c'è, non esiste".
Questo può essere esteso anche alla scrittura
in generale.
Il libro è pur sempre finzione, una realtà
virtuale; anche un libro scientifico è
finzione, poiché la stessa realtà,
nel momento in cui viene descritta, è
già cambiata. Alla fine, del libro può
non restare che il testo, cioè il campo
di ricerca delle relazioni sistematiche e costanti
fra i personaggi, affidate alle parole, e questo
si chiama strutturalismo. Qualcuno ha anche
detto: "Non c'è nulla al di fuori
del testo" (J. Derrida). C'è da
aggiungere che, a questa finzione, partecipa
il lettore, con la sua volontà di lasciarsi
affabulare. E' chiaro, infatti, che fra scrittore
e lettore si stabilisce una sorta di patto,
di intesa, e che quest'ultimo è pronto
a seguire lo scrittore sul suo terreno, ma vuole
sentirsi protetto, coccolato, vezzeggiato, divertito,
nutrito.
Una volta deciso di voler mettere in campo degli
personaggi-attori, si entra a far parte del
mondo letterario. Bisognerà ora scoprire
il genere verso cui si è portati. Il
genere potrebbe essere quello di cui più
spesso si è letto, ma di solito l'ingresso
in letteratura avviene tramite note autobiografiche,
diario personale, poesie. Più raramente
direttamente con articoli di cronaca o di costume.
Autobiografia, quindi, da cui passare a brevi
descrizioni della vita degli altri e quindi
alla biografia. Carlo Godoni fu il solo, di
cui si abbia memoria, a cominciare immediatamente
con una commedia, a otto anni.
La lingua, orale e scritta, serve a esprimersi,
descrivere, interrogare, istruire, giocare,
raccontare, mentire, etc. Alcuni hanno una visione
drammatica, tragica, aulica, della vita: saranno
più attratti dai generi attinenti: drammi,
tragedie, commedie. Le persone che vivono di
fantasie infantili e d'infanzia negata avranno
una predisposizione alla favolistica. Chi invece
è maniaco dell'ordine, può darsi
che voglia dare ordine storico all'universo
circostante, e allora il suo genere sarà
la memorialistica, etc. Giorgio Saviane mi ha
confessato che lui cerca di medicare la vita
con l'introspezione: "Sennò"
aggiunge, "almeno io, non farei lo scrittore".
Con questo voglio dire che ognuno ha già
un'idea su ciò che intende rappresentare
con la scrittura, anche se quest'idea è
allo stato latente.
La scelta, oltre l'autobiografia
(in cui grandi risultati sono stati raggiunti
da Primo Levi, per esempio, e James Joyce),
include anche: la biografia, la diaristica,
la novellistica, la saggistica, la satira, la
trattatistica, l'umoristica, il pamphlet, e
il romanzo, che può essere:
- d'amore, rosa (Liala, Rosa Giannetta Alberoni);
- d'azione, d'avventura (Herman Melville, Robert
Louis Stevenson, Ernest Hemingway);
- saga (come il romanzo 'Radici');
- soap operas (scritti per non avere mai fine,
da sceneggiare per la tv);
- di idee (Fedor Dostoevskij, Lev Tolstoj);
- fantascienza (o science fiction: James Ballard,
Ray Bradbury, Isaac Asimov);
- fantasy (come 'Il signore degli anelli' di
John Ronald Tolkien);
- di mistero, di spionaggio (o mystery story,
suspense, spy story: Ian Fleming, John Le Carré,
Ken Follet);
- dell'orrore (oppure horror: Edgar Allan Poe,
Stephen King);
- di brivido, giallo, poliziesco (o thriller,
detective story: Agatha Christie, Ellery Queen,
Rex Stout, Raymond Chandler, A.Conan Doyle).
E, qualche tempo fa, John Grisham
ha scoperto anche il 'legal thriller'. Niente
di eccezionale: storie di mistero e azione condite
da termini legali, anche se poi il contenuto
gira intorno ai soliti argomenti. Ecco la 'grande'
rivelazione del succo del racconto, nel romanzo
'Il Socio' (Mondadori, '91, Milano), dopo 224
pagine di attesa.
"Voyles posò la
mano sul ginocchio di Mitch e lo squadrò
da una distanza di quindici centimetri. "E'
mafia, Mitch, e illegale quanto l'inferno."
"Non ci credo" dichiarò Mitch,
agghiacciato dalla paura. La sua voce suonò
fiacca e stridula.
Il direttore dell'FBI sorrise. "Sì,
Mitch, lei mi crede..."
A quanto pare, anche gli americani
restano a corto di idee, di tanto in tanto.
Chi sta con i piedi per terra, ma è pronto
alle astrazioni; chi ha un atteggiamento critico
nei riguardi della vita, e la osserva con un
certo cinismo (anche se la parola può
sembrare eccessiva), ma sempre con un fondo
di speranza, è portato per la narrativa.
Uno scrittore osserva, vede, cerca di capire
il mondo in maniera autonoma e indipendente
da ciò che legge sui giornali o vede
alla tv. Poi lo esprime in modo particolare,
con sapiente chiaroscuro, cosa che non riesce
ai giornalisti. Qualcuno ha detto che cercare
di capire come va il mondo dalla lettura dei
giornali è come cercare di capire che
ora è guardando le lancette dei minuti
e dei secondi.
Il romanzo si è trasformato, nell'ultimo
secolo, da romanzo descrittivo, o di pura narrazione
di eventi, a romanzo interpretativo. (Anche
se la tendenza neorealista sembra essere stata
rivalutata negli ultimi lustri). Inoltre, ha
finito col rispecchiare, anche se non ancora
del tutto, poiché la pagina scritta rappresenta
sempre un'elaborazione, la lingua quotidiana.
La forma scritta tradisce sempre un po', o molta,
retorica: infatti nessuno saprebbe parlare come
un eroe dei romanzi, poiché la gente
è portatrice di distrazione e di economia
linguistica, che non gli consentono di essere
sempre presente su determinati argomenti.
Insomma, la lingua scritta è un'aspirazione
a fare le cose e a parlare in modo elegante,
quasi perfetto, con sentimenti chiari e ben
definiti, ma non riuscirà mai a interpretare
le sfumature della vita reale e, quando lo facesse,
risulterebbe posticcia. Questo lo dico per quanti
passano la vita a tavolino (come faceva Romano
Bilenchi) nel tentativo di ricercare la perfezione
stilistica; ma la vita è movimento e
le parole sono in movimento: non esiste un brano
di discorso che possa agevolmente superare,
cioè rimanere indenne da 'invecchiamento',
una sola generazione. (...)
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