GLI
AUDIOLIBRI DI PB
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"Le doti vengono presupposte, esse debbono
trasformarsi in capacità. E' questo lo
scopo di ogni educazione". (Johann Wolfgang
Goethe: 'Le affinità elettive', Garzanti,
Milano, '82 - pag. 42).
Molte arti presuppongono spazi e materiali idonei;
la scrittura è un'arte povera, nel senso
che necessita solo di una penna, un foglio e
un cervello, naturalmente. Qualcuno, non ricordo
chi, ha detto che gli scultori - per esempio-
devono leccare i piedi agli assessori comunali,
altrimenti non ricevono incarichi, ma la scrivere
è più facile perché non
si ha bisogno di niente: osservi e poi fai quello
che vuoi. Basta una matita o una penna a sfera.
Ce ne sono da cinquecento lire. Anticamente,
bastava una penna d'oca, con cui grandi romanzieri
hanno vergato con scrittura minuta i loro 'papiri'.
Un'interessante prova la si può avere
al British Museum, dove sono esposte i manoscritti
originali dei grandi del passato. Eppure, il
dramma di molto scrittori russi era, lo è
stato fino a poco tempo fa, quello di non riuscire
a trovare neppure la carta sufficiente per scrivere.
Oggi la società dei consumi, a noi viziati
occidentali, ci viene incontro con magnanimità.
I supermercati e le cartolerie abbondano di
penne, quadernoni, fogli, etc. che riescono
a soddisfare anche i più viziati scrittori,
quelli come Bevilacqua per esempio, che sulla
sua scrivania ama tenere decine e decine di
penne e matite, evidenziatori, e altra cancelleria.
Indispensabili oggetti sono, comunque: una buona
grammatica dell'italiano, un buon dizionario,
una macchina da scrivere. Un discorso a parte
riguarda il computer. Oggi, quasi tutti gli
scrittori ne possiedono uno, e appare evidente
la funzionalità che ne deriva, soprattutto
per la facilità che consente di intervenire
sul testo al posto desiderato per opportune
correzioni o aggiunte. Ciò comporterà,
naturalmente, anche una scorta di floppy disk.
E' preferibile riporre, fin dal principio, attenzione
alla forma. Una scrittura ordinata, con capoversi
rientranti, paragrafi di circa 10 righe, capitoli
di circa dieci pagine, per un totale di circa
venti capitoli, per un totale di 150-300 cartelle
a spaziatura normale (con 2100 battute circa
per cartella), potrà essere di supporto
all'ordine interiore.
C'è anche chi, naturalmente, ritiene
che si possano fissare regole più precise
al riguardo, che sono:
- l'opera deve essere dattiloscritta su cartelle
formato cm 21 x 29 (extra strong);
- ogni cartella deve contenere un massimo di
30 righe di 70 battute ognuna, calcolando come
battuta anche le virgole, i punti, le parentesi,
gli spazi fra due parole, ecc;
- tutte le cartelle devono essere numerate progressivamente;
- gli eventuali titoli dei capitoli vanno scritti
(in maiuscolo e centrati) su di una nuova cartella,
lasciando il resto della pagina precedente in
bianco. Eventuali titoli di paragrafi vanno
scritti in maiuscoli e allineati a sinistra;
- i capoversi vanno evidenziati lasciando le
prime 4 battute del rigo in bianco; ecc.
Naturalmente, va detto che queste cose sono
puramente indicative e che ogni genio si comporta
a modo suo. Così come per quanto riguarda
le ore da dedicare alla scrittura, anche se,
tanto, si imparerà presto come essa possa
assorbire tutti i nostri pensieri e i nostri
giorni e notti. Spesso in solitudine e nell'incomprensione
generale. E allora faremo bene a ricordare quanto
diceva Nietzsche: "L'intelligenza di una
persona si misura dalla quantità di solitudine
che riesce a sopportare". E a ripeterci
che la scrittura deve servire innanzitutto a
se stessi, per riflettere e trovare la coscienza
di sé, come la meditazione nelle filosofie
orientali.
A proposito del fatto che la scrittura dev'essere
per prima cosa un piacere in sé, vorrei
ricordare cosa mi hanno detto Natalia Aspesi:
"Penso che scrivere sia un grande piacere
personale che ripaga di ogni delusione";
e Gianni Riotta: "E' vero che tutto sembra
a tratti duro e inutile. Ma scrivere o leggere
è un piacere in sé. Bisogna già
godere di questo fatto: dice un motto zen 'Il
battito di ali di una farfalla arriva al confine
dell'universo, il clangore di eserciti armati
muore subito' ".
Questo in teoria, perché poi, nella realtà,
a uno scrittore verrà richiesto non solo
di riflettere su quanto sta facendo, ma anche
di frequentare salotti, premi letterari, presentazioni
dei libri (e qualche volta venderseli da soli);
insomma farsi vedere in giro perchè una
cosa è scrivere, avere dentro la religiosità,
e un'altra far parte della gerarchia letteraria,
dove a decidere chi vale e non vale ( e talvolta
per puro opportunismo) sono i vescovi e i cardinali,
i critici e gli editori. Un po' come accade
nella scuola: uno può essere un ottimo
insegnante, avere 20 anni di servizio alle spalle,
capire le esigenze degli alunni e saper porgere
gli argomenti con amore e professionalità,
ma poi deve vedersi imporre continuamente direttive
fantasiose e campate in aria da parte di stupidi
burocrati, che in una scuola non hanno mai messo
piede. - Come non è raro, anzi è
la regola, vedere ministri della Pubblica Istruzione
che non sono stati insegnanti e ministri della
Difesa che non hanno neppure fatto il servizio
militare-. E quindi si dovrà sviluppare
la capacità di adulazione e di servilismo,
perché chi comanda fonda il suo potere
proprio su questo.
Altri suggerimenti:
- "Chi apre un periodo lo chiuda"
diceva Flaiano. E' senz'altro la prima regola;
- scrivere soprattutto la mattina, e portare
sempre con sé un blocchetto per gli appunti,
per annotare le idee, che possono giungere a
concretizzarsi nei momenti meno opportuni, ma
che è bene fissare subito, per evitare
scherzi della memoria;
- controllare sul dizionario i termini di cui
non si è sicuri;
- evitare di seguire mode e tendenze, ma attingere
dal proprio animo;
- rimuovere il complesso d'inferiorità
nei riguardi dei 'nomi' più ricorrenti.
Seguire l'istinto e non essere intimoriti da
ciò che fanno o dicono gli altri, compreso
i critici;
- scrivere su temi congeniali, poiché
la passione, per esempio, non la si può
apprendere: o c'è o non c'è;
- ricordarsi sempre che uno scrittore scrive
anche se non ci sono lettori;
- associare a ogni personaggio un volto noto,
verificandone le rispondenze per evitare di
descrivere fisionomie perfette ma irreali;
- cominciare col copiare il romanzo preferito:
se ne assorbirà il ritmo, si imparerà
a scrivere le parole correttamente, si adeguerà
la punteggiatura (soprattutto la punteggiatura
all'interno e all'esterno dele virgolette).
Senza vergognarsi: tutti, dico tutti, hanno
copiato da chi li ha preceduti. Molti traduttori,
inoltre, sono giunti alla scrittura avendo assimilati
i principi degli autori tradotti. Busi e Tabucchi
hanno cominciato da traduttori. Copiare finché
non si comincia a pensare di poter far meglio,
in quel settore. Ho conosciuto un poeta, Antonio
Porta, e mi diceva proprio questo, riguardo
a un altro poeta, con umiltà: "Qui,
lui ha fatto meglio di me".
- ricordare che il lettore si aspetta da uno
scrittore una certa trasfigurazione della realtà,
di modo che egli possa cogliere, tramite gli
occhi del narratore, aspetti che gli erano sfuggiti;
- prima di passare a una stesura completa dell'opera,
esercitarsi a fare descrizioni di personaggi
e ambienti, osservando la realtà, la
qual cosa è il vero compito dello scrittore.
Scrivere dei brevi ritratti, come fanno i pittori,
che, prima di passare alla tela, fanno dei bozzetti
su carta, col carboncino. Si tratta di veri
e propri 'studi';
- quando si sarà scritto l'ultimo capitolo,
bisognerà tornare daccapo per dare uniformità
ed evitare le ripetizioni;
- bilanciare le parti descrittive con i dialoghi,
l'immissione di idee con l'umorismo, le cadute
di tono con i colpi di scena; il ritmo di un'opera
è importante: gli scrittori americani
sono maestri in questo campo perché sono
abituati a pensare e scrivere per scene, abituati
come sono al linguaggio cinematogafico. Essi
preferiscono anche le frasi brevi, con una sintassi
contratta. Questa maniera di fare, che spesso
salta i collegamenti e quindi le sfumature psicologiche,
non piace tanto ai critici nostrani, che sono
cervellotici, ma sono anche, però, i
primi a godersi i film americani;
- l'aggettivazione è importante; come
l'uso degli avverbi;
- evitare ripetizioni terminologiche: tutti
gli scrittori hanno utilizzato, almeno agli
inizi, un dizionario dei sinonimi e dei contrari.
Uno scrittore, per esempio, può essere
anche un romanziere, narratore, saggista, critico
letterario, cronista, etc., e può scrivere
un best seller, un capolavoro, un' allegoria,
una pubblicazione, testo, volume, libro, etc.,
e un'opera può essere prima, minore,
postuma, d'evasione, dialettale, divulgativa,
religiosa, scientifica, scolastica, propagandistica,
moraleggiante, inedita (quasi sempre), allegorica,
drammatica, burlesca, grottesca, lirica, realistica,
seria, satirica, epica, barocca, crepuscolare,
decadente, immaginifica, manieristica, minimalista,
naturalista, postmoderna, romantica. Il ritmo
può essere incalzante, monotono oppure
lento.
- la lunghezza del testo non è importante.
'Il sottotenente Gustl', di Arthur Schitzler,
che è di appena trenta pagine, è
un capolavoro, mentre il romanzo più
lungo mai scritto, cioè 'Gli uomini di
buona volontà' di Jules Romains, composto
da 27 volumi, è una semplice curiosità;
inoltre, Saul Bellow ha sostenuto la necessità
di scrivere romanzi brevi, perchè l'attenzione
dei lettori diventa sempre meno capace di reggere
ai grossi volumi di centinaia di pagine. In
questo concordava Calvino, il quale aggiungeva
che gli italiani sono più portati per
il racconto. In America c'è una vera
venerazione per il racconto. I più grandi
scrittori pubblicano racconti su riviste prestigiose.
- mentre in un racconto i personaggi sono tre
o quattro, in un romanzo bisogna dare fisionomia
ad almeno 20 o 30 personaggi;
- un buon titolo è importante. A proposito
di quest'ultimo punto, molte sono state le discussioni
in merito. Sul 'Corriere della Sera' del 22
ottobre '89, si è sviluppato un dibattito.
Ecco le varie posizioni.
Giuseppe Pontiggia:"Trovare
il titolo all'inizio del viaggio può
essere una bussola, ma rischia di condurre esattamente
dove ci si riprometteva di arrivare. E spesso
non è una buona navigazione. Il limite
di alcune opere è di corrispondere, con
fedeltà eccessiva, al loro progetto...
Anche rimandare il problema alla fine del viaggio
non manca di insidie. Un titolo ideale dovrebbe,
secondo me, orientare prima e dopo la lettura:
all'inizio delimitando il campo e alla fine
ampliandolo, grazie alle acquisizioni del libro
stesso".
Antonio Debenedetti:"Nasce
prima il romanzo o prima il suo titolo? Prima
l'uovo o la gallina? Non c'è una sola
risposta, tale che si possa concludere: "La
cosa sta così". La scelta di un
buon titolo, sono tuttavia d'accordo gli autori,
è fondamentale: ancor più oggi,
fra tanto proliferare di novità, di proposte
editoriali. Se non la determina, un buon titolo
può sensibilmente aiutare infatti la
fortuna editoriale d'un libro. Ma, rimanendo
alle domande-curiosità, chi dà
il titolo a un'opera? Dio stesso, come si dice
accada per il primo verso di una poesia? L'ispirazione
di chi scrive? L'esperienza di chi pubblica?".
Raffaele La Capria:"Il titolo
viene fuori via via che il libro si fa. In linea
generale, poi, il titolo non dovrebbe costituire
una spiegazione di quanto s'è scritto.
Con un salto di fantasia sarebbe giusto individuasse
qualcosa di più segreto, che ha dettato
un'opera".
Mario Soldati:"I miei titoli
nascono qualche volta prima che mi metta a scrivere
e qualche volta dopo, anzi all'ultimo momento
quando il libro è già in stampa
e non c'è più tempo di pensare".
Dacia Maraini: "Ho un rapporto
molto problematico con i titoli, non riesco
mai a trovare quello giusto".
Mario Luzi: "Per me il titolo
di un libro si forma con il crescere del libro,
oppure si lascia scoprire in una piega del testo
come frase prima inosservata che a un tratto
acquista luce e forza di significazione".
Alberto Bevilacqua: "Il titolo
di un romanzo, o di un racconto, nasce attraverso
un processo che potrebbe definirsi una sorta
di epifanìa. E' una manifestazione, appunto,
una rivelazione che lo scrittore intimamente
riceve, restandone suggestionato: significa
che quella piccola divinità che è
sempre una storia, è nata, ha una sua
luce, chiede un sigillo. Se lo scrittore procede
troppo 'di testa', in genere ne esce un brutto
titolo"
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