Max
Manfredi
Io e De Andrè
Vado a
ruota libera.
De André: c'è tutto già
scritto(...)
L'ho conosciuto quando ha cantato "La
Fiera della Maddalena con me", tre
giorni ad Acquapendente. Beveva una bottiglia
di plastica intera piena di caffellatte
quando si svegliava (di solito nel pomeriggio).
Una volta si svegliò al mattino,
la mattina - appunto - che registrammo
le voci. Il discografico di allora (Edoardo
De Angelis) era andato in città
a comprargli dell'erìsimo - detta
"erba cornacchia", un'erba che
- dicono - fa bene alla voce.
Ovviamente quando tornò con l'erìsimo,
De André aveva già inciso
tutto, e anch'io.
Mi viene anche il sospetto malevolo che
l'avesse mandato a prendere quest'erba
per levarselo dai piedi in registrazione
- ma questo non posso assicurarlo...
I discografici: se ne conoscessi uno ricco,
potente e intelligente, che avesse voglia
di promuovere il mio prodotto e fosse
in condizione di farlo, sarei più
contento.
Così, si fa ciò che si può.
I did my best, it wasn't much.
Il mercato è un colabrodo. Le canzoni
migliori si fanno in ambienti privati,
e son del tutto al di fuori del mercato.
Ho una serie di testimonianze al riguardo.
Inutile raccontarsi quella dell'uva (meglio
bersela).
Case, salotti, piccoli circoli; financo
centri sociali. Un sottobosco variegato,
di qualità alterna, che nasconde
sorprese preziose che, come il fiore di
una non notissima poesia di Manzoni, cresce
inutilmente (o per la divinità).
Il resto è impero mediatico, è
il Regno delle Fate. Truffa della comunicazione
asservita. Maxischermi e manifesti che
ti leggono e ti guardano, più di
quanto tu non faccia con loro. Tutte cose
utilissime, intendiamoci. Ma si tratta
di un mondo
parallelo, in cui l'arte del consenso
ha sostituito il consenso sull'arte.
Ma in fondo è sempre stato così...
oggi ci sono alcune differenze strutturali
forti (inutile parlarne ora, dovrei scrivere
un saggio e preferisco scrivere canzoni,
o al limite, prose e poesia, quando me
ne vien voglia).
Le domande sarebbe bello
me le facessero i lettori. O sembra loro
che tutto sia a posto così, senza
curiosità alcuna?
Davvero son tutti così appecoronati
e gregari da interessarsi solo degli aneddoti
su De André - ce n'è ormai
una bibliografia sterminata cui abbeversarsi
-, o accontentarsi di qualche frase fatta
a proposito dei discografici?
Ce n'è pochissimi, ormai, discografici.
Se esistesse uno strumento per clonare
i motorini e le auto, pensate che tanta
gente li comprerebbe ancora?
E allora, se non dai dischi, da dove guadagnano
i discografici?
Dai concerti? Fate due calcoli su SIAE,
Enpals, affitto fonica e luci e affitto
sala, e poi mi saprete dire.
Dal denaro pubblico, è ovvio! Soldi
nostri.
Ma non bastano... ce ne vogliono tanti!
Quindi: le multinazionali guadagnano da
tutto tranne che dai dischi (ad esempio
vendono gli stessi strumenti che servono
a masterizzarli). Le etichette indipendenti
chiudono o faticano.
Tutto questo esclude la possibilità
di un discernimento sulle proposte, ed
avalla l'idea di un prodotto totalitario,
con caratteristiche etiche ed estetiche
facilmente riconoscibili (dallo zumpa
zumpa al tunza-tunz), il cui solo torto
è appunto quello di precludere
la strada a produzioni di tipo differente
- e qualitativamente, a mio avviso, ben
superiori.
Quindi, diamoci una svegliata, ognuno
per quanto riguarda le sue possibilità.
(c) Max
Manfredi
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