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La Biblioteca dei sogni di Giuliano Giachino (2014)
Prefazione
Prefazione
A cura di Marco R. Capelli
Ora, se mi chiedessero così, senza preavviso: “Chi è Giuliano Giachino?”, la prima risposta che mi verrebbe in mente sarebbe: un gentiluomo. Un gentiluomo della scrittura (e non solo), un gentiluomo di altri tempi; di quelli che – in gioventù, prima di ritirarsi in una loro personale Isla Escondida – sono stati un po' pirati e, come tali, conoscono bene i rovesci della fortuna. E li sopportano con pazienza, senza perdere dignità, senza scomporsi più di tanto. Senza interrogarsi troppo sul “perché”.
La scrittura di Giachino è appunto questo: la scrittura di un gentiluomo. Colta, raffinata, meticolosa senza perdere freschezza, malinconica senza autocommiserazione e sempre coerente con se stessa. Anche laddove le trame (di assoluta originalità) ci portano nel regno della fantascienza più classica – e penso a racconti come Lo Scudo di Anghor, grandioso affresco di esogeologia degno di un Asimov al meglio della forma – o in quello sfumato e nebbioso delle leggende popolari di cui Giachino è appassionato cultore (un titolo: Enrosadira).
In realtà, è molto difficile classificare questa antologia, sorta di compendio che raccoglie diverse decadi di attività. Così come è difficile – e forse non necessario - classificare Giuliano Giachino come scrittore.
Certo, predilige il racconto, ma lo utilizza come una leva per aprire porte su mondi che si scorgono – oltre la soglia - vasti ed articolati, vivi e brulicanti come un dipinto fiammingo, inquietanti e colmi di riferimenti e citazioni che a loro volta rimandano ad altre suggestioni.
Eppure, tutto questo non appesantisce la narrazione, che resta vivace ed appassionante, sia perché l'elemento fantastico si mantiene preponderante e tradisce un piacere profondo per l'affabulazione e l'invenzione, sia perché citazioni e riferimenti non costituiscono una struttura superimposta, posticcia, ma sono espressione di conoscenze acquisite, lungamente meditate e pienamente assimilate. Conoscenze che riemergono con naturalezza e coerenza all'interno del processo narrativo, intrecciandosi alla trama secondo un meccanismo ben lubrificato e contribuendo a creare la necessaria suspension of disbelief, a rinsaldare il patto implicito fra lettore ed autore indispensabile per la riuscita di qualsiasi narrazione fantastica. Credo che la formazione scientifica dell'autore giochi un ruolo fondamentale nel mediare il processo creativo mantenendolo entro binari di lucida coerenza e, avendone tempo, si potrebbe aprire una lunga dissertazione su quanto la letteratura fantastica sia in debito – da Doyle a Crichton – nei confronti dei medici-scrittori.
Tutto, nella narrativa di Giachino, fluisce con naturalezza; pure, ogni storia ne richiama implicitamente infinite altre non raccontate (non qui, non ora). Per dirla con le parole del maestro (che avrebbe certamente apprezzato il breve racconto fantastico Onorarono, a lui dedicato):
Mis noches están llenas de Virgilio;
haber sabido y haber olvidado el latín
es una posesión, porque el olvido
es una de las formas de la memoria, su vago sótano,
la otra cara secreta de la moneda (*).
Troverete, ovviamente, molta fantascienza in questa antologia. Né potrebbe essere altrimenti, perché la fantascienza è la grande passione di Giachino, il suo core-business, come testimoniano la lunga ed assidua presenza all'interno della World Science Fiction Italia e il suo impegno trentennale nel mondo del Fandom. Ed anche perché solo la fantascienza, tra i generi canonici, poteva consentirgli la libertà d'azione e di pensiero necessaria ad esprimere il suo talento di scrittore. Quella di Giachino, però, è una fantascienza matura, complessa ed assolutamente originale; certamente non priva di elementi sociologici e di spunti di riflessione, eppure caratterizzata da un tale amore per l'avventura e per l'invenzione da permettere una godibilità immediata e più livelli di lettura.
Nelle pagine che seguono, oltre al già citato Lo scudo di Anghor, leggerete quindi racconti come: Vampiro, testo complesso ed amaro che potrebbe essere uscito dalla penna di un Paul Anderson liberato dall'obbligo del lieto fine; Virus d'ipnoguida, a metà fra il cyberpunk e la distopia; il wagneriano Carosello senza suoni o l'originalissimo e indefinibile Alieno canta per me.
Però c'è anche dell'altro, molto altro: memorie (Edoardo Martelli), riflessioni (Vetro appannato), bizzarri pseudosaggi linguistici (Agognate, Un insolito linguaggio), dolorosi ricordi (Torino, 4 Maggio 1949, La storia che Angelo non scrisse mai), interviste decisamente impossibili e riferimenti musicali (Omaggio a Béla Bartók).
E poi ci sono i sogni, molti sogni. Tanti da riempire una intera Biblioteca.
Se vi pare poco...
* Le mie notti sono piene di Virgilio; / aver saputo e scordato il latino / è possederlo, perché l’oblio / è una delle forme della memoria, cantina dai contorni indefiniti, / faccia nascosta della moneta. / Un lector (Jorge Luis Borges 1969)
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