E mentre incerto percorrevo a
piedi
Una strada di Minas, ciottolata,
E una campana roca all'imbrunire
Si mescolava al suon delle mie
scarpe,
Pausato e secco; e uccelli volteggiavano
Nel ciel di piombo, e quelle forme
nere
Lentamente venivano a diluirsi
Nel maggior buio, sceso giù
dai monti
E dal mio proprio esser disingannato,
La macchina del mondo si socchiuse
Per chi a romperla ormai si ricusava
E a sol pensarlo si rammaricava.
Si aprì sì maestosa
e circospetta.
Senza emettere un suon che fosse impuro
Né un baleno maggior del tollerato
Da pupille guaste nell'ispezione
Continua e dolorosa del deserto,
E dalla mente esausta a elucubrare
Su tutta una realtà che
assai transcende
L'immagine sua stessa delineata
Sul volto del mistero, negli abissi.
Si aprì con calma pura,
ed invitando
Tutti i sensi e le intuizioni restanti
A chi da tanto sudarli li avea persi
E neanche voglia avrebbe di riaverli,
Se invano e eternamente ripetiamo
Stessi peripli tristi senza rotte,
Invitandoli tutti quanti, in schiera,
A dedicarsi all'inedito tema
Della natura mistica dei fatti,
Così mi disse, pur se voce
alcuna
O soffio od eco o semplice battuta
Attestasse qualcuno che, sul monte,
A qualcun altro, notturno e miserando,
In colloquio si stesse dirigendo:
"Quel che cercasti in te o fuori
del
Tuo essere ristretto e mai si
espose,
Pur fingendo di darsi o si arrendendo,
E ad ogni istante più si contraendo,
Guarda, rifletti, ascolta: la
ricchezza
Che abbonda in ogni perla, questa
scienza
Sublime e formidabile, ma ermetica,
Questa piena lezione sulla vita,
Questo nesso primevo e singolare
Che più non concepisci, tanto
è schivo,
Si rivelò nella ricerca
ardente
In cui ti consumasti... ve', contempla,
Apri il tuo cuore per dargli ricetto";.
I più superbi ponti ed
edifici,
Quel che nelle officine costruisce,
Quel che pensato fu e presto attinge
Distanza che oltrepasserà
il pensiero,
Le risorse terrestri dominate,
E le passioni, gli impulsi ed i tormenti
E quanto l'esser terrestre definisce
O si prolunga fin negli animali
Ed alle piante arriva, per imbeversi
Nel risentito sonno minerale,
Gira il mondo e torna ad ingolfarsi
Nell'ordine geometrico del tutto,
E l'assurdo d'origine e i suoi
enigmi,
Le verità sue più alte
ancor di tanti
Monumenti alla verità elevati;
E la memoria degli dei, é
il solenne
Sentimento di morte, che fiorisce
Nel caule di esistenza più
gloriosa.
Tutto si presentò a me
in quello squarcio
E mi chiamò verso il suo regno
augusto,
Infine sottomesso a vista umana.
Ma siccome io riluttavo a rispondere
A quell'appello sì meraviglioso,
Con la fede smorzata, e anche la brama,
La minima speranza, quell'anelo
Di vedere svanir la spessa nebbia
Che tra i raggi del sole ancora filtra;
Poiché morte credenze convocate
In fretta e furia non si disponevano
A tingere di nuovo il neutro volto
Che vo' lungo il cammino dimostrando,
E siccome un altro essere, non quello
Che dentro me abita da tanti anni,
Mia volontà passava a comandare
Che, già volubile, si richiudeva
A mo' di certi fiori reticenti
In se stessi dischiusi e poi serrati;
Come se un tardo dono non più
ormai
Desiderabile, anzi, disprezzato,
Abbassai gli occhi, incurante,
lasso,
Sdegnoso di ricevere l'offerta
Che si apriva gratuita al mio ingegno.
La tenebra più fitta ormai
posava
Sulla strada di Minas, ciottolata,
E del mondo la macchina, respinta,
A poco a poco venne a ricomporsi,
Mentre, ancor valutando le mie perdite,
Venivo lento, mani penzoloni.
Carlos Drummond DeAndrade
Trad. di Giuseppe Butera
butera@ucdb.br