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Balene e foche di Helen Dunmore
traduzione di Salvatore Ciancitto
Pubblicato su SITO


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Shannon spegne di botto il motore della barca ed eccoci qui, alla deriva nell’Oceano Pacifico. Senza il rumore del motore è chiara la nostra fragilità, solo una macchia di metallo e carne nella distesa d’acqua. Ma il pensiero non mi turba.
“Ci troviamo nelle acque territoriali degli Stati Uniti adesso”, dice Shannon.
È una ragazza Neozelandese dalla carnagione bronzea con un bel sorriso e una passione per la biologia marina. La quantità di cose che già ci ha raccontato riempirebbe un manuale e non le ho nemmeno ascoltate tutte. Ma ho tenuto uno sguardo attento sul volto, perché Shannon mi piace. Adesso lavora in giro per il mondo e poi farà il Dottorato di Ricerca sull’aringa del Baltico.
“Aringa del Balitico, Shannon?”
“Si, roba da pazzi, no? Forse perché mio padre è Estone”
Shannon si alza dal suo posto e sorride al resto dei passeggeri.
“Siamo nelle acque degli Stati Uniti, ragazzi! Passaporti alla mano?”
L’uomo di fronte a me solleva la sua videocamera e comincia a filmare il piatto e argenteo oceano statunitense.
“Potete uscire sul ponte se volete”, dice Shannon.
Il ponte è stretto. Se siamo educati e non spingiamo c’è posto per dieci di noi e a causa del grande silenzio che ci avvolge non sembra affollato. La mente di ognuno di noi è persa sull’oceano. Abbiamo visto leoni marini, cormorani e un gruppo di focene di Dall che inseguivano la barca. Temevo che la barca potesse far loro del male, ma Shannon ha detto che non sarebbe successo. “Amano la sensazione di cavalcare la curva dell’onda”, ha detto, “Gli piace la sensazione. A volte si buttano nella curva dell’onda di una di quelle grosse navi da carico e la cavalcano per ore. Forse conserva la propria energia. Forse stanno solo giocando”.
Non abbiamo ancora visto balene. Guardo lungo la distesa d’acqua verso la catena montuosa dell’Olimpo. Le montagne sono coperte dalla neve e un alito di ghiaccio proviene dalle acque del Pacifico. Fa troppo freddo per nuotare. Ma piace alle balene. L’acqua è fredda e ricca, colma di catene di vita che l’uomo non ha spezzato. Non qui, non ancora. Shannon ci dice che un’orca è in grado di mangiare quattrocento libbre di salmone al giorno. L’unico modo in cui riesco a immaginare quella quantità di salmone è costruirmi una torre di fette del supermercato nella mente. Trecento, forse? Di solito compravo quattro fette di salmone e pesavano circa una libbra e mezza. Una per Luke, una per Jasmine, una per Don e una per me. Chiedevo al commesso di assicurarsi che le fettine fossero della stessa grandezza. Se una fetta era più grossa delle altre l’avrei coperta con del condimento per nasconderlo.
Forse non vedremo nessuna balena, non oggi. L’uomo con la videocamera chiede a Shannon se ritiene che verranno.
“Si” dice Shannon. “Sono in giro. Erano qui stamani. A questa ora del giorno, si stanno nutrendo. Darò un’occhiata”.
Si dirige nel retro della barca e armeggia con il dispositivo acustico subacqueo che già ci ha illustrato.
“Ascoltate” dice. Tutti noi facciamo silenzio e ascoltiamo ubbidienti i rumori che somigliano alla musica che su Radio 3 spegneremmo.
“Danno la caccia ai salmoni. Sentite quel rumore come di uno scatto? Ce n’è una piuttosto vicina. A cinquanta metri, forse.”
Ci mettiamo tutti a fissare il mare piatto e argenteo, desiderando che produca una balena. Trattengo il respiro. La barca lenta gira su una corrente che non riesco a vedere. La terra è distante. Ti prego, dico dentro di me. Ti prego. La nostra barca ondeggia come una piccola arca di preghiera. Tutti noi tratteniamo il respiro, tutti noi desiderosi e in attesa. Verranno le balene? È tutta questa gita una gigantesca simulazione, come mettere il dentino di un bambino in un bicchiere d’acqua vicino al letto di modo che la fata dei denti possa sostituirlo con una moneta, o come stare svegli la notte di Natale per riuscire a vedere di sfuggita Babbo Natale, anche se sai bene che in realtà è tuo padre? Ho fatto io stessa la fatina molte volte. Ho riempito quelle calze. Perché trattengo il respiro come una bambina?
Shannon perlustra le acque con il binocolo. Volgo le spalle. Non ho più intenzione di guardare. Non ho intenzione di far sapere a quelle balene che sono disperata.
All’improvviso, per caso, dall’altro lato del barca, la balena è lì. Una curva nera rompe l’acqua. Troppo grossa per essere una focena. Liscia e rigata d’acqua e poi sparisce. Strattono il braccio di Shannon.
“Là. Là. Laggiù. Una balena. Ho visto una balena”.
“Ehi, davvero?”. Ha il fare eccitato e sorpreso, e so che non l’ha mai dubitato. Naturalmente le balene sarebbero arrivate.
“Ehi gente, da questa parte”, dice Shannon, alzando la voce e tutti fissano l’acqua nel punto in cui vi era la balena. E poi l’acqua brulica di balene. Una schiena si mostra di nuovo al di sopra dell’acqua, una pinna si alza, una coda si solleva nella perfetta forma a forchetta delle balene che noi tutti conosciamo da migliaia di immagini.
“Ce ne sono due”.
“Laggiù. Guardate. Un’altra. Si è immersa, proprio là”.
Nessuno esclama ad alta voce o si accalca al fianco della barca. La calma si diffonde sulla barca e sull’acqua mentre le balene si mostrano sempre di più. Stanno giocando, ne sono certa, non cacciando. Stanno giocando con noi. Rimango con lo sguardo fisso, cercando di imprimerlo nella mia mente per sempre. Balene nel grigio e risplendente Pacifico che si oscura in lontananza. I loro suoni sembrano gorgogliare attraverso il dispositivo acustico.
“Lì c’è Shaker”, dice Shannon
“Shaker?”
“Già, è lui, la madre deve essere anche lei qua attorno”.
“Date a tutti un nome?”
Non sono certa che l’idea mi piaccia. Non sono cuccioli. Sono balene.
“Si, certo. Shaker è un tipo giocoso”
“E’ un piccolo di balena?” chiedo stupidamente.
“No, ha venticinque, ventisei anni. Ma queste balene rimangono con le loro madri per tutta la vita. Ha anche una sorella in questo branco. Se la mamma muore, rimarrà con lei.”
“Per tutta la vita…Davvero?”
“Se ci pensate, ha senso”, dice Shannon. “La loro casa è il branco. Non la lasceranno mai, a meno che non accada qualcosa di serio”
“Per esempio?”
“C’è stata tutta una storia l’anno scorso circa una balena che è stata separata dal branco. Le barche erano sulle sue tracce, le persone volevano ricongiungerla. Ma non si era persa. Gli era capitato qualcosa di brutto, di tipo genetico, e il branco l’aveva allontanata. Può capitare.”
“Oh”.
“E’ dura”, dice una giovane donna con una giacca rossa.
“Non c’è spazio per i sentimenti nel regno animale”, dice l’uomo con la videocamera.
“Non so” dice Shannon in maniera sorprendente “Le balene hanno sentimenti profondi, lo so per certo”.
Solleva di nuovo il binocolo, e rimane in silenzio. È una ragazza sensibile. Vuole che questa sia un’esperienza nostra, non sua.
La balena chiamata Shaker è scomparsa. Ci sono altre due balene che si muovono nell’acqua in lontananza, da ovest a est, a volte mostrandosi, a volte no. Si spostano con uno scopo. Il fatto che riesca a vederle chiaramente, non le rende meno misteriose.
Tutti nella barca sono intenti a filmare o a fare foto. Io stessa faccio alcune foto e penso di mostrarle a Luke. Ma non verranno nel modo esatto in cui le ho fatte. Le mie foto raramente sono così. Devo sempre mettermi a spiegare cosa c’è dentro.
“Vedi quella forma lì, Luke? No, non là, lì. È un pezzo di balena. Quale pezzo? Uhm, be’, forse è la schiena. O potrebbe essere la coda…”
La giovane donna con la giacca rossa mi bussa sul braccio. “Vuole che le faccia una foto con una balena sullo sfondo?”
Da vicino, vedo quanto sia luminosa e impaziente. Sarebbe da zotici rifiutare.
Impiega un lungo istante, cercando di cogliere l’inquadratura migliore, in attesa che la balena si innalzi dietro di me. Alla fine è fatta.
“Era lontana, ma dovrebbe venire bene.”
“Grazie mille. Vuole che le faccia io una foto?”
Mi porge la macchina fotografica. “Sarà qualcosa da mostrare ai miei figli. Sono rimasti in hotel. Sono così gelosi che sia venuta in questa gita, ma hanno tre e cinque anni, sono troppo piccoli. Ed è costosa…”
“Ha il sacrosanto diritto di fare una gita da sola”, dico in maniera decisa. “E’ quello che sto facendo anch’io.”
“Ha figli?”
“Due”
“Io sono Julie, vengo da Moose Jaw. Già, lo so. Lei è inglese, giusto? È un posto reale e si chiama in questo modo. Sono nata là.”
Abbiamo appena terminato tutti di fare foto che un vento proveniente dalle montagne comincia a frantumare l’acqua. Le balene si sono nascoste. È tempo di tornare indietro.
Ci sistemiamo nella cabina striminzita. Shannon fa partire il motore e la nostra barca ondeggia e sballatola attraverso l’acqua. Il rumore del motore mi assopisce, ma Shannon ci sta dicendo qualcosa superando il chiasso.
“Andremo da una colonia di foche sulla via del ritorno. Fermerò il motore e vi porterò il più vicino possibile, ma non vogliamo che si allontanino spaventate dagli scogli.”
Ci racconta delle foche. Di come le balene, assassini fugaci, lavorino in gruppi per far allontanare impaurite le foche dagli scogli e le aspettino dalla parte opposta una volta che hanno toccato l’acqua. Di come i cuccioli di foca siano indipendenti a sei settimane.
“Sei settimane!” dice Julie “Di certo le mamme foche se la passano meglio delle mamme balene. Non ha detto che Shaker sta ancora attaccato alla madre a ventitre anni?”
“Rimarrà attaccato a lei a quaranta, se è ancora viva”, dice Shannon.
“Oh mio Dio. Quaranta anni. Riuscite a immaginarlo?”
Il mio sorriso di risposta è più veloce di quanto riesca a farlo.
Quando Luke avrà quaranta anni io ne avrò sessantasei. Ancora in grado di prendermi cura di lui, se non accade qualcosa. Luke avrà quaranta anni e probabilmente i suoi capelli saranno grigi. I capelli di mio figlio saranno grigi.
“Quanti anni hanno i suoi figli?” chiede Julie.
“Jasmine ha diciannove anni, Luke ventitre.”
“Hanno lasciato il nido, allora”. Come la maggior parte dei genitori di bambini piccoli, ancora considera crescerli un compito a termine. Raggiungeranno le assolate terre dell’età adulta a diciotto anni e sarà fatta. Lavoro finito.
“Jasmine è all’università. Luke è a casa con noi.”
E mentre la sua espressione leggermente cambia decido di raccontarglielo.
“Ha avuto un incidente l’anno scorso. Un incidente con l’auto. Non era lui a guidare. Ha avuto dei danni alla testa.”
“Mi dispiace”, dice Julie, “Come va adesso?”
“Meglio di quanto pensassimo. Molto meglio di quanto pensassimo. Ma non sarà in grado di farcela da solo. Non per un po’ di tempo”.
Il viso di Luke appare nella mia mente. Ha lo strano sguardo perso che a volte gli viene. Temo che questo sguardo giunga quando si ricordi esattamente che le cose non sono sempre state in questo modo. La maggior parte del tempo i fatti della sua vita precedente sono come delle storie per lui.
Andava all’università, divideva un appartamento, studiava Scienze dello Sport e Psicologia e giocava nella squadra di hockey dell’università.
Un giorno, il mese scorso, l’ho trovato in piedi vicino alla lavatrice con una ciotola di cereali e una tazza di caffè.
“Mamma” mi ha domandato.”So come mettere in funzione questo articolo?”
Non riesco a togliermi dalla mente il suo sguardo corrucciato di dolore.
“Ha fatto benissimo a fare questa gita”, dice Julie. Per un momento la sua mano calda copre la mia. “Potrà raccontare a Luke delle balene.”
“Si.”
Si, glielo racconterò. Gli racconterò delle acque fredde e scure del Pacifico, delle montagne Americane e del silenzio quando il motore si è fermato. Di quanto fragile fosse la barca sull’acqua. Racconterò a Luke che sono stata a settemila miglia di distanza da lui, su treni, barche e aerei, e che le balene erano vere.

© Helen Dunmore
Traduzione a cura di Salvatore Ciancitto







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