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Un pesce nel marmo
di Gabriela Chiari
Pubblicato su PBSA2021


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Un pesce nel marmo

Da alcuni mesi, Lucio seguiva sempre con grande attenzione le previsioni meteorologiche. Questo suo improvviso interesse scaturiva dal tacito appuntamento che suo fratello ogni giorno gli rinnovava. I due, infatti, erano soliti, quando il tempo lo consentiva, passeggiare nel parco. In realtà a camminare era soltanto uno, mentre con le mani spingeva la carrozzina ortopedica su cui era seduto l’altro.

Lucio era stato fino a pochi mesi prima un quattordicenne dinamico e pieno d’interessi.

Il nuoto era la sua passione. E pensare che aveva iniziato, su consiglio del medico, solo per irrobustire le spalle. Quello sport ben presto lo aveva preso; non solo il suo corpo ne aveva tratto giovamento, ma tutto il suo essere trovava nell’acqua il suo sostentamento.

Le gare cui partecipava e che si concludevano sempre con una vittoria erano sicuramente motivo di soddisfazione, ma erano nulla di fronte a quella gioia pura, a quella sorta di vertigine che gli procurava il contatto con l’acqua.

Le sue gambe e le sue braccia che si muovevano abilmente in quell’elemento primordiale erano certamente guidate dal suo cervello, ma a lui sembrava ogni volta un evento straordinario, una sorta di “miracolo”; era l’acqua che lo rendeva “pesce”.

Poi ci fu quel maledetto incidente. Proprio dopo essere uscito dalla piscina, come faceva tre pomeriggi a settimana, aveva inforcato la sua bicicletta e, mentre lui procedeva sul lato destro della strada, quell’auto, che non si era fermata allo stop, gli era piombata addosso. All’improvviso fu tutto buio e Lucio si risvegliò in un letto d’ospedale, con le gambe fuori uso.

Da quel giorno la sua vita cambiò; non era più “pesce” nell’acqua, ma il suo corpo traeva sostegno da una sedia a rotelle che ben presto divenne parte di sé.

La menomazione non era irreversibile, ma fu comunque un colpo durissimo per lui.

In quei mesi, oltre ad avere il supporto costante dei genitori, aveva goduto della compagnia del fratello maggiore. Giordano riusciva ogni pomeriggio a ritagliare del tempo da dedicare a Lucio, così era nata l’abitudine delle passeggiate al parco per consentirgli di sentirsi parte di quella natura che tanto amava.

La passeggiata era diventata l’evento più importante della giornata e Lucio l’aspettava con trepidazione, immaginandone i momenti più belli. Cominciava a pensarci fin dalla mattina quando era a scuola; soprattutto quando doveva rimanere in classe, senza poter correre fuori con gli altri durante la ricreazione. In genere, c’era l’insegnante che s’intratteneva a parlare con lui e il ragazzo era molto contento quando era la volta dell’insegnante di scienze.

Il parco rappresentava un mondo meraviglioso che gli si era rivelato solo di recente. Lo aveva scoperto da seduto perché solo da quella posizione aveva avuto modo di osservare, scrutare, esplorare; i suoi occhi verdi erano attenti, vigili, pronti a mettere sotto una lente d’ingrandimento ogni piccolo aspetto di quello spettacolo.

Dalla sua sedia Lucio guardava i cigni che nuotavano nel laghetto e i pesci variopinti nella grande vasca di marmo. Il suo sguardo era anche attratto dalle aiuole ben curate e piene di fiori e dalle varie specie di alberi presenti nel parco, ma soprattutto dalle statue. Ce n’erano infatti in grande quantità e ogni giorno sembrava le vedesse per la prima volta. Era molto colpito dagli esseri viventi che popolavano il parco e dalle statue; questo era il mondo in cui, da seduto, si trovava a proprio agio.

Lucio era un ragazzo curioso e un giorno prese a fare domande: “Perché un fiore è diverso da un albero e i pesci dai cigni?”. Giordano, dopo una prima esitazione, provò a rispondergli ricordando quanto l’anno precedente il suo professore gli aveva spiegato di Aristotele.

“Vedi Lucio, ogni essere è un individuo che sussiste, ma per essere tale deve avere una materia di cui è fatto e una forma che lo caratterizza; per questo posso dire che un fiore non è un albero ed un pesce non è un uccello”.

“Anche noi esseri umani abbiamo una materia e una forma?” chiese con interesse Lucio.

“Certo” rispose il fratello “tutto è composto di materia e forma, la nostra materia è la carne, le ossa, i muscoli, la nostra forma è l’umanità!”.

“E le statue?” insisteva Lucio.

“Anche loro hanno il marmo che è la materia, ma è la forma a far sì che un blocco di marmo diventi una statua oppure una colonna, insomma la forma è essenziale! “rispose Giordano; poi aggiunse: “Ma perché sei così fissato con le statue?”.

“Perché io su questa carrozzina sono una statua, sento le mie gambe come marmo!” rispose Lucio con voce un po’ stridula.

In realtà, la disabilità del ragazzo, a detta dei medici, era solo temporanea, avrebbe potuto usare le gambe, ma c’era come un blocco.

Quando tornarono a casa, Giordano andò a cercare il libro di filosofia e rilesse con attenzione Aristotele.

Il giorno seguente, durante la consueta passeggiata, riprese l’argomento arricchendolo con altre conoscenze. Disse infatti a Lucio che la materia è “potenza”, cioè capacità di assumere una forma (come il marmo che riceve la forma della statua) mentre la forma è “atto”, cioè attuazione di quella capacità e fece molti esempi: il seme e la pianta, il bambino e l’adulto, l’uovo e la gallina …

Lucio ascoltava con grande interesse ed esclamò: “Allora potenza e atto sono collegati e servono a spiegare la trasformazione della realtà, il movimento!”.

Il fratello, resosi conto che Lucio aveva compreso le sue parole, proseguì con un altro esempio che aveva letto sul libro: “C’è una grande differenza fra il cieco e chi ha occhi sani e li tiene chiusi: il primo non è “veggente” il secondo invece lo è, ma lo è in potenza e non “in atto”, solo quando apre gli occhi è “veggente” in atto”.

Lucio fu molto colpito da quell’esempio, ma non disse nulla. A casa pensò e ripensò all’uomo sano che quando tiene gli occhi chiusi è vedente solo “in potenza” e trovò una forte analogia con le sue gambe.

Il mattino seguente, il ragazzo si svegliò con una nuova consapevolezza: le sue gambe dovevano passare dalla “potenza” all’ “atto”; voleva assolutamente raggiungere questo obiettivo!

La filosofia di Aristotele aveva prodotto un effetto meraviglioso. Non a caso, la filosofia nasce proprio dalla meraviglia, come sostiene lo stesso filosofo.

Certo, per il momento, l’evento straordinario riguardava solo la mente di Lucio, ma era già un passo fondamentale. Le sue gambe sarebbero passate all’ “atto” in virtù della sua decisione e della sua forza di volontà. Queste da sole non sarebbero bastate, ma avrebbero potuto trovare valido supporto soltanto in una fisioterapia mirata allo scopo.

Allora Lucio sarebbe stato di nuovo “pesce” e non più “statua”, libero nell’acqua e non più prigioniero nel marmo.

 

© Gabriela Chiari





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