Ricerche scolastiche ed inediti
pucciniani di M.R.C.
La relazione che lega Progetto
Babele a Senigallia (ed ai suoi scrittori),
è piuttosto curiosa e passa
attraverso una serie di quasi misteriose
coincidenze internettiane. Tutto ha
avuto inizio su Progetto Babele 4,
quando Carlo Santulli, nell'ambito
della rubrica "Riscoperte",
presentò ai nostri lettori
Mario Puccini. Singolare figura di
giornalista, editore e, soprattutto,
romanziere brillante ed ingiustamente
dimenticato. L'inserimento in Internet
di quello stesso articolo ha probabilmente
colmato un vuoto preesistente, in
quanto, appena qualche giorno dopo
la pubblicazione, Carlo venne contattato
da una scolaresca del Liceo Sociopedagogico
di Senigallia (che salutiamo ancora
una volta), in cerca di ulteriori
informazioni sul loro conterraneo.
Più recente e di altro genere
è il secondo contatto. Come
i nostri più attenti lettori
certamente sapranno, Puccini nel 1927
diede alle stampe, in Spagna, un volume
di critica intitolato "Da
D'Annunzio a Pirandello",
testo che, scritto originariamente
in lingua spagnola, non fu mai tradotto
in italiano.
Ora, un giovane studente di lingua
ispanica, ci ha fatto sapere di essere
in possesso di una traduzione integrale
del saggio, da lui realizzata in preparazione
di un esame universitario e ci ha
chiesto se fossimo, in qualche modo
interessati alla pubblicazione.
Ecco, più che interessati,
direi che la parola corretta sia entusiasti.
Con questa pubblicazione, i cui dettagli
sono in via di definizione, ci sembra
che Progetto Babele stia per fare
il suo ingresso ufficiale nel mondo
della letteratura, dando un contributo,
piccolo ma concreto allo studio di
questo campo così affascinante
dello scibile umano. Certo, ci sono
ancora molti problemi pratici da risolvere,
stiamo cercando di contattare gi eredi
di Puccini, detentori dei diritti
d'autore sul testo, e siamo anche
in cerca di uno "sponsor",
possibilmente istituzionale, che ci
consenta di affrontare una tiratura
numericamente più sostanziosa
di quelli che sono i nostri standard.
Ma sono problemi che affrontiamo con
piacere, certi che il risultato finale
ci ripagherà di ogni fatica.
In attesa dell'uscita della traduzione
italiana di "Da
D'Annunzio a Pirandello",
quindi, vi stuzzichiamo l'appetito
con una piccola antologia di brani
estratti dalle opere di Puccini e
Panzini, altro interessantissimo scrittore
senegalliese, selezionati da Carlo
Santulli.
Marco
R. Capelli
ALFREDO PANZINI
La bella storia di Orlando Innamorato
e poi Furioso - di Alfredo Panzini
Senigallia, o Sinigaglia, come si
diceva fino alla fine dell'Ottocento,
è oggi più nota come
località balneare, anche se
vanta una serie di monumenti, tra
cui la Rocca Roveresca, il Palazzo
del Duca ed il Foro Annonario, e persino
un'area archeologica di epoca romana.
Un senigalliese illustre è
stato Pio Nono, Papa Mastai Ferretti,
che nel suo lungo regno (trentun anni
e mezzo), il più lungo della
storia della Chiesa, se si esclude
quello di Pietro, dove però
è difficile dare date precise,
ha dotato tra l'altro la città
natale della ferrovia (anche se la
stazione originaria non esiste più)
e di un ospizio per i bambini poveri,
oltre a far rifare la facciata del
Duomo. Inoltre, nell'Ottocento, a
pochi decenni di distanza l'uno dall'altro,
Senigallia ha dato i natali a due
scrittori: Mario Puccini (1887-1957),
di cui già abbiamo parlato
su Progetto Babele, ed Alfredo Panzini
(1863-1939), di cui appunto sto per
parlare adesso. Entrambi questi scrittori
sono un buon esempio del piccolo crocevia
culturale su cui si trova Senigallia,
combattuta, anche nel dialetto, tra
la immanente focosità romagnola
e la filosofica pacatezza marchigiana,
ed entrambi, guarda caso, sono finiti
a vivere a Roma nella loro maturità
(anche Pio Nono, se è per questo,
ma nel suo caso personale mi sembra
non ci fossero molte alternative).
In più Panzini, il professore,
l'allievo di Carducci, era figlio
di un romagnolo e di una marchigiana,
e quindi viveva su di sé questo
contrasto regionale, modesto, ma che
si riflette nella sua opera.
Dal tono un po' aulico della mia recensione
si vede che ho una gran simpatia per
entrambi questi scrittori, e se permettete,
anche un po' per papa Mastai. Questo
libretto di critica letteraria di
Alfredo Panzini è una riproposta
simpatica, che mostra come la critica
letteraria possa essere tutt'altro
che noiosa. Panzini è una natura
complessa, è il tipico professore
di fine ottocento, passatista, un
po' burbero, ma è anche l'umorista,
che scrive romanzi di gran successo,
da "Il padrone sono me",
in cui il modo dei mezzadri romagnoli
è descritto con vivacità,
a "Io cerco moglie!". In
quest'ultimo in particolare, molto
belle époque, si immagina come
un rappresentante di commercio, milanese
naturalmente, vedendo il matrimonio
prima di tutto come un affare, dopo
storie sfortunate, ma molto godibili,
con una nobile un po' pazza e poi
con un'ingenua ragazza di paese, finisce
tra le braccia della propria dattilografa.
Mi aveva colpito in "Io cerco
moglie" il catalogo (sempre di
un rappresentante stiamo parlando)
delle possibili "prede",
in cui il protagonista descrive una
ventina di possibili pretendenti,
indicate, molto opportunamente, ciascuna
con una lettera dell'alfabeto. Un
autentico pezzo di bravura di Panzini,
che riesce con brevi tocchi a mostrare
carattere ed inclinazioni di venti
donne diverse, rendendole tutte indimenticabili.
Qui siamo sull'altro versante, Panzini
è il professore, ma non compassato,
bensì molto passionale e di
logica stringente nel cercare di dimostrare
come il suo prediletto Boiardo, autore
dell'Orlando Innamorato sia a tutti
gli effetti l'origine dell'Orlando
Furioso di Ludovico Ariosto, e senza
il primo, il secondo non ci sarebbe
stato, o sarebbe stato del tutto diverso.
Ed in mezzo, tra i due Orlandi, si
affaccia l'ombra di Miguel de Cervantes,
cioè di Don Chisciotte, per
il motivo molto semplice che il poema
del Boiardo uno di quei testi che
il cavaliere della Mancia aveva nella
sua libreria e che l'aveva fatto impazzire,
e decidersi a dedicarsi alla cavalleria.
Il Panzini è veramente entusiasta
del Boiardo, come uomo, padre di sei
figli, come governatore, anche se
troppo buono, più adatto a
far versi che a governare, e naturalmente
come poeta, che oggi viene ricordato
specialmente perché morì
quando l'Italia stava per perdere
le sue libertà civili, con
la discesa di Carlo VIII, re di Francia,
che depone Ludovico il Moro, duca
di Milano (1494). Scriveva il Boiardo
in versi famosi, vedendo passare i
soldati francesi a Reggio Emilia:
"vedo l'Italia tutta a fiamma
e a foco/per questi Galli che con
gran valore/vengon per disertar non
so che loco". Anche il Boiardo
non capisce bene il perché
di quella guerra (dubbi che vengono
spesso anche sulle guerre odierne),
ma sente che il suo canto e la sua
vita volgono al termine. E per il
Panzini, l'interesse del poema del
Boiardo è lo stesso di quello
che prova Don Chisciotte, che vuole
appassionarsi alla storia del 'cavalier
romano' Orlando, a quest'antica favola
dei tempi di Carlo Magno, "giovane
come le rose e i fiori di lilà",
come dice a Panzini un altro scrittore
romagnolo Renato Serra. Panzini è
un profondo conoscitore del suo poeta,
l'ha letto in pubblico, l'ha seguito
fino al suo paese, visitando a Scandiano
la Rocca dei Boiardi, immaginando
un volo di cavalieri e di dame dalle
finestre dello studio e del poeta.
A volte è un po' retorico,
e fa un po' tenerezza, come uno di
quei professori di liceo che arrivano
col borsone pieno di libri, mentre
noi magari pensiamo a tutt'altro.
Quel che però rimane di questo
libretto, al di là delle tante
notizie curiose (per esempio, non
ricordavo che Angelica fosse venuta
dalla Cina, come il glicine) è
un modo di leggere questa poesia e
di gustarla, forse l'unico possibile:
farsi vincere dall'irresistibile incanto
della storia antica. "Allora
siamo d'accordo, e tutta l'altra critica
non conta niente. Un incanto che non
perde la sua magia dopo quattrocento
e più anni, è qualche
cosa!"
La pietà del Boiardo
Ma ci credeva lui a queste fole?
Lui, uomo di dotti studi, uomo che
doveva sbrigare pratiche di amministrazione
civile e anche militare, oltre alle
faccende sue?
Non ci credeva, le viveva.
Eravamo in un tempo - come dire? -
quasi crepuscolare: tramontava la
luna dell'evo medio e raggiavano appena
i primi albori di una età nuova.
Ci si sente un'auretta che vien da
lontano e che chiameremmo romantica,
se questa parola non sonasse anacronismo
di anticipazione. In quella tenue
luce, tante imperfezioni del romanzo
non si vedono. Fra pochi anni raggierà
il sole che tutto discopre, ed ecco
il Furioso dell'Ariosto che è
tutto perfetto, in ogni sua parte,
tutto adorno, tutto curato, e in armonia
con i perfetti artefici delle altre
arti: Raffaello, Cellini, Bramante.
Però quell'auretta romantica
non è più così,
e con questo non si vuol dire che
Ludovico Ariosto irridesse alla cavalleria.
Si può non credere, e pur non
irridere. E meno di tutti irrideva
il Cervantes che colpì a morte
la falsa cavalleria e pur mandò
l'ultimo inno alla cavalleria morente.
Finchè un nobile cuore batte,
non può irridere alle nobili
cose; e anche oggi davanti a certe
creature, i vessilli della perfetta
nostra ragione si inchinano.
Da: "La bella storia di Orlando
Innamorato e poi Furioso" di
Alfredo Panzini
Fara Editore, 1994, Rimini, pag.50-51
MARIO PUCCINI
LA MORTE DI SCOCCI
Ricominciava a singhiozzare; ed allora
Massimo lo sospinse dolcemente verso
la porta: "Vieni, andiamo a casa;
forse la tua Sunta a quest'ora sta
meglio". Grugnì, ma si
lasciò condurre, guidare fuori...
"E' colpa mia, se muore - eruppe
di colpo, riveduta appena la strada
e i lumi e le botteghe aperter...-
Mia: perché io volevo che fosse
sempre lì a cucinare ed essa
forse non si sentiva bene...Ah, perché
non ho la forza di ammazzarmi, di
buttar via questa mia pellaccia maledetta?"
"Calma, caro Scocci, calma; ché
forse la speranza non è perduta..."
Ma Scocci si lasciava trascinare verso
casa come un cencio, come una cosa
morta; silenzioso ormai, e neppure
più singhiozzante; e quando
poi furono lì, davanti alla
porta, Massimo, che s'era staccato
per sospingere l'uscio, sentì
che l'altro annaspava con le braccia,
come per cercare un sostegno, un appoggio...Lo
raggiunse di nuovo, lo tenne su; ma
Scocci gli cascava addosso, cedeva,
mencio, come svesciato "Scocci,
Scocci, coraggio!" Ma quel corpo
era ormai tutto abbandonato, perso:
e appena un leggero respiro lo rivelava
ancora per vivo. Chiamò gente;
poi, visto che nessun uomo accorreva
e appena una donna che seppe solo
urlare e far del chiasso, si caricò
sulle braccia quel piccolo corpo ormai
quasi esanime e lo trasportò
di corsa in una farmacia lì
prossima. Ora, anche lui si sentiva
come fuor di sé, esaurito,
rotto, come senza coscienza. Vide
dei lumi, della gente, si sentì
sospingere, interrogare... Poi fu
fatto del largo intorno a lui; una
mano si avvicinò alle sue narici,
una mano che gli parve grassa, turgida,
rossa di qualche gonfiore misterioso,
e un bruciore tale alla testa lo raggiunse
che sentì di dover dare indietro,
se non voleva morire anche lui...
Quanto tempo passò? Certo,
ad un momento s'accorse di rinvenire;
come di risvegliarsi; ed aprì
gli occhi oh quanto appesantiti. Girò
lo sguardo, spauritamente: chiese:
"e Scocci, dov'è Scocci?".
Ma, prima che qualcuno gli rispondesse,
vide su tre seggiole il corpo di Scocci
del tutto abbandonato, inerte.
da "Provincia" di Mario
Puccini
Trimarchi, Palermo, 1930, pag.291-292
|
COMITATO STUDI
PUCCINIANI
La
maggior parte delle opere di Mario
Puccini sono ormai esaurite da
molti anni e possono essere acquistate
soltanto nei negozi di libri usati
oppure reperite in biblioteca.
Si
è tuttavia recentemente
costituito a Senigallia, con il
patrocinio della FONDAZIONE
ROSELLINI
un comitato
di studi pucciniani che si sta
occupando della raccolta e della
ristampa delle opere di questo
eclettico autore.
Tra
le opere realizzate:
Da
D'Annunzio a Pirandello
Saggi Critici
Traduzione
di Francisco
Josè Diaz
Editing, ricostruzione ed
integrazione del testo italiano:
Carlo Santulli e Marco
R. Capelli
Mario
Puccini
Dov'e' il peccato e' Dio
Anno 1999, Pagine 192
A.Panzini
e M.Puccini
Viaggi in Italia
(1913-1920)
Anno 2001, Pagine 323
Mario
Puccini
La prigione
Anno 2004
Il
romanzo di senigallia
Saggio
su Mario Puccini
a cura di S.Genovali
225 pg. 15 euro
Anno 2002
Bibliografia
completa di Mario Puccini
a
cura di R.Pirani
una impressionante
bibliografia di quasi 7000 voci
250 pg. 15 euro
Anno 2002
Per
informazioni:
FONDAZIONE
ROSELLINI
Per la letteratura
popolare
Viale Bonopera, 21
60019 Senigalla (AN)
Tel. 071
63144
071 7928350
Fax 0533 313534
Email:
cbruschi@mbox.queen.it
|
Mario
Puccini
(1887-1957)
M.P.(Senigallia, 1887
- Roma, 1957) è ormai considerato
come uno dei più intensi narratori
Italiani del Novecento. Oltre ai romanzi
maggiori - tra cui ricordiamo Viva l'Anarchia
(1920), Dov'é il peccato è
Dio (1922), Il soldato Cola (1927),
Ebrei (1931), La prigione (1932), Comici
(1935) e, postumo, La terra è
di tutti (1958) - ha scritto qualche
decina di romanzi brevi - molti di essi
sono raccolti nel postumo Scoperta del
tempo (1959) - e qualche centinaio di
racconti. E' stato anche editore (ha
pubblicato Capuana, Papini, Tozzi, Bontempelli,
Cecchi...) e collaboratore di riviste
e giornali italiani e stranieri. Come
saggista si è occupato, fra gli
altri, dell'opera di Dostoieskij e Baroja,
di Gorkij e Gide.
>>Altre
info
Alfredo Panzini
(1863-1939)
Alfredo
Panzini nasce a Senigallia nel 1863
da padre romagnolo e madre machigiana.
Dopo essersi laureato in lettere a Bologna,
avendo per suo maestro tra gli altri
Giosué Carducci, rimase professore
per tutta la vita in diverse città
sedi di liceo, fino a stabilirsi a Roma,
mentre continuò a trascorrere
i periodi estivi a Bellaria. Tra le
sue opere maggiori, "La lanterna
di Diogene" (1907), "Viaggio
di un povero letterato"(1919) "Io
cerco moglie!" (1920), "Il
padrone sono me" (1922). Fu romanziere
e critico letterario, particolarmente
interessato alla letteratura del Rinascimento,
da Boiardo ad Ariosto al Berni. Fu anche
autore di un vocabolario italiano molto
diffuso. Morì a Roma nel 1939.
Senigallia
qualche notizia
Senigallia
fu la prima colonia fondata dai Romani
sulla Costa Adriatica, agli inizi del
terzo secolo a.C. Il suo nome ricorda
quello dei Galli Senoni stanziati nel
territorio e nel 295 a.C. Alla caduta
dell'Impero Romano d'Occidente nel '476
d.C. seguì per la città
un periodo di degrado e abbandono. Si
tramanda che nel 1200 furono portate
in città le reliquie di S. Maria
Maddalena, che divennero meta di un
grande pellegrinaggio. La vera rinascita
della città si ebbe però
con Sigismondo Pandolfo Malatesti, Signore
di Rimini, il quale, l'aveva avuta in
concessione dal Papa Eugenio IV. Nel
1474, per concessione del Papa Sisto
IV, la città passò sotto
il dominio dei Della Rovere i quali
nel 1508 ereditarono anche il ducato
di Urbino. La dinastia, estintasi nel
1631 con la devoluzione del Ducato allo
Stato Pontificio, arricchì Senigallia
dei suoi più prestigiosi Monumenti
(la Rocca Roveresca, Palazzetto Baviera,
il Convento di Santa Maria delle Grazie,
il Palazzo del Duca e la Fontana delle
Anatre).
Senigallia,
oggigiorno, è una moderna città
balneare, di circa 50.000 abitanti,
che vanta l'inaugurazione, nel 1853,
dello "Stabilimento Idroterapico
di Bagni Marini", tra i primi della
costa Adriatica. Attualmente mette a
disposizione dei suoi ospiti più
di 100 tra alberghi e campeggi, impianti
sportivi di ogni tipo, un porticciolo
turistico per l'attracco di 200 imbarcazioni,
13 km. di spiaggia vellutata, nella
cornice delle sue amene colline più
volte immortalate nelle fotografie di
Mario Giacomelli.
Come
arrivare?
In auto:
Autostrada
A14 Bologna-Bari uscita Senigallia
In aereo: Con voli Milano-Falconara
Roma-Falconara. Aeroporto situato a
circa 16 Km da Senigallia
In treno: Linea ferroviaria Milano-Lecce,
fermata Senigallia
FONTE:
www.comune.senigallia.an.it
A
cura di
Carlo Santulli
c.santulli@rdg.ac.uk
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